Anna non compie il miracolo, anzi…

Ueilà Cinerofum! Ieri sera finalmente ho ritrovato un po’ di tempo da dedicare alla Settima arte e il film su cui mi sono buttato è, il suggeritomi di recente, “Anna dei miracoli” di Arthur Penn, pellicola del 1962, vincitrice di due premi Oscar, ma che, tirando le somme, mi ha un po’ deluso.

Nella prima parte del film il regista offre uno spettacolo, ad onor del vero, emozionante e coinvolgente. Grazie a inquadrature mai casuali, piani sequenza ben studiati e dialoghi mirati, mi sono sentito subito coinvolto da questa situazione terribilmente difficile e ho provato compassione per la bambina protagonista del film.
Un’opera che vuole essere decisamente opprimente e claustrofobica, sensazioni che la piccola Helen (il premio Oscar Patty Duke), sorda e cieca dalla nascita, vive a causa della sua incapacità di comprendere ciò che la circonda e di comunicare con il prossimo.
Annie (Anne Bancroft, anche lei premiata con la celebre statuetta e già conosciuta da noi 'rofumanti nei panni della seducente Mrs Robinson) è una ragazza guarita dalla cecità da qualche anno e con un’infanzia difficile alle spalle che, appena diplomatasi, trova lavoro presso la famiglia di Helen come educatrice della bambina.
La speranza arriva quindi da Annie che, appena giunta nella casa della famiglia Keller, cerca subito di entrare in contatto con la piccola e di insegnarle l’alfabeto muto. La bambina imita, ma non capisce e tutto il resto della pellicola si vivrà ovviamente con la speranza che l’insegnante e la bambina compiano il miracolo… ma senza “il cuore in gola”.
Le sensazioni che ho vissuto, infatti, durante questa seconda parte, sono state molto blande. La recitazione dei due premi Oscar non si discute, ma il film diventa in certi momenti un po’ prolisso, tanto che, in qualche frangente, mi sono distratto a guardare altrove, oppresso sì, ma dal caldo della sala Ninna, e in costante attesa di un brivido d’emozione che non arrivava mai e mai è arrivato. Durante uno dei massimi momenti di conflitto e distacco tra Annie e Helen, la bambina tira una broccata d’acqua in faccia alla sua educatrice e, visto che si tratta di uno dei momenti del film di massimo sconforto e tensione, non credo sia stata una buona cosa che mi sia scappato da ridere!?!
Non male la scena del pulcino che spunta dal guscio per la visione metaforica che propone dell’idea di un’umanità potenziale che è nascosta dentro Hellen e che deve solo riuscire a venir fuori, ma, tornando alle note dolenti, il finale non è molto emozionante e ciò direi che è molto grave per un film di questo genere.
Pellicola che quindi, per l’argomento che propone, dovrebbe essere sofferta, commovente ed emozionante dall'inizio alla fine, mentre io ho percepito queste sensazioni solo a tratti e la giudico dunque mediocre e in certi frangenti addirittura noiosa.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Ma sai che m'è piaciuto questo film? Senza soffermarmi sugli aspetti clinici della vicenda (altro che 100 minuti), comunque affrontati con tenacia, con qualche concessione allo spettacolo e alla drammatizzazione, concordo con te sul fascino del primo impatto con la pellicola. Bianco e nero d'autore, fotografia ipnotica. La regia, che nell'incipit, ma non solo, pare far l'occhiolino all'espressionismo scandinavo, diventa man mano più spavalda, architettando inquadrature ricercate e riprese "avanti" (la lunga sequenza a tavola, in cui la m.d.p. schizza all'impazzata per schivare un piatto schizzato via o non perdersi una carica imbufalita). Per niente facile da recensire, Ste Bubu alla grande, schietto e attento. Che bello.
    Certo, ci sono anche i "ha piegato il tovagliolo!", ma quella era una bella famiglia di sudisti, che volere di più?
    Questo film ha il ritmo dell'angoscia e della speranza, non con il cuore ma con il groppo in gola, quello sì. Che spinge innanzi giocando sull'astuto e confuso equilibrio dell'umano e del demoniaco (tutte le figure sono costruite con ampi sbuffi e sfumature, compresa la commovente guerriera protagonista).
    Insomma, questo è un film che, magari, non vi piacerà; ma vorrei che ci provaste, perché ha un carattere; e non è poco.
    Bubazza, chi te lo consigliò?

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