Dio o non Dio, camminare...

E adesso vorrei scrivervi a proposito di un film visto domenica notte in sala "Gilgamesh". Eh sì, Albert Monzy ritorna al Cinerofum sottoforma di albergatore o crocerossino, accogliendo me, cretino, giunto a notte fonda in quel di Milano, senza chiavi di casa. Due chiacchiere e, per rilassarsi un po', un bel film di cui non si sa un bel nulla: "Le mele di Adamo" è un film danese del 2005, girato dal regista Anders Thomas Jensen, classe 1972. Mica semplice classificarlo, pellicola strana, un po' provocante, un po' conciliante. Capolavoro no, da buttare no. Insomma potrebbe essere sufficiente per tentare, non credete?
Che il regista abbia partecipato all'esperienza "Dogma" (anni '90) si vede sin dalle prime immagini, poi lassù è davvero tutto così ordinato e pulito, freddo. Siamo in Danimarca, quello è certo. Scenografia e fotografia dalle rette ben precise e dai contrasti forti, m.d.p. che non corre, ma segue placida gli eventi. E che eventi, qui viene lo stravagante. La sceneggiatura di questa pellicola gioca sempre sul filo de rasoio, a volte pare virare verso il film d'impegno sociale (integrazione, antirazzismo), altre decisamente su lidi più comici, grotteschi, addirittura sino alle lontane isole dell'assurdo (la strenua difesa armata dell'albero di mele, povero gatto...; le pistolettate ai nazi).
E' un film, quindi, che risulta pazzerello, ma che (altrimenti ne avrei già scritto peste e corna), sottende alcuni spunti di riflessione interessanti. Chiarito sin da subito che la pellicola non si poneva l'obiettivo di mostrare dove possa condurre l'inossidabile fede nel Buon Dio (sarei andato a dormire in Stazione Centrale), le situazioni narrate spingono a far trum-trum col cervello. A tratti si pensa che il pastore abbia deciso, seguendo un percorso piuttosto affascinante (ora faccio io il pezzo di merda così forse ti accorgi della tua stupidità) di mostrare al neonazista Adam dove stia il suo errore, poi si pensa che sia soltanto un ciarlatano in preda all'idiozia. Poi gli elementi emergono dando nuova linfa all'interesse dello spettatore. Non limitiamoci ai giudizi superficiali, cerchiamo di conoscere e capire, quindi proviamoci a vedere noi stessi e gli altri un po' meno strani, sembra suggerire il film. Niente di sensazionale ma, tra una risata ed un punto interrogativo, il film scorre, ponendo sullo sfondo alcuni quadretti riconducibili allo stile tipico del cinema danese degli ultimi 20 anni. A volte si gioca facile, a volte si azzarda. Ve l'avevo detto che è un film strano...
Grazie per il salvataggio Albert!
(depa)

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