"Paga la minestra, costruisci un forte, dagli fuoco"

Pomeriggio relax in sala Ninna, passato in compagnia di personaggi geniali, affascinanti e fuori dagli schemi, quali erano “il pittore che viene dal ghetto” Jean-Michel Basquiat e il suo più noto amico e collega Andy Warhol, ben indagati e proposti dal regista newyorkese Julian Shnabel in “Basquiat”, film biografico del 1996.

La storia di Samo, pseudonimo di Basquiat, è una classica e banale ascesa dagli inferi dell’anonimato e della povertà al paradiso della celebrità e del successo, ma il personaggio risulta decisamente affascinante, un'anima selvaggia rappresentata nei quadri dai colori violenti con un segno infantile, ma forte, e il regista è bravo a tenere sempre ben in primo piano il personaggio più che la storia, così che la noia non ha mai sfiorato la sala Ninna. Ogni inquadratura è da sé un piccolo quadro e le opere di Basquiat sono assolute protagoniste.
Anche la figura di Warhol affascina perché viene proposta nei suoi aspetti più sconosciuti, intimi e personali, come intima era l’amicizia nata trai due artisti. L’interpretazione di David Bowie è sublime come lo è quella del protagonista Jeffrey Wright, di Benicio Del Toro nei panni di Benny, amico storico di Samo, e di Michael Wincott nei panni del suo scopritore René.
Amore, successo, droga, vizio e tradimenti, genio e sregolatezza. C’è un po’ di tutto in questo film, ma, come detto, quello che mi è rimasto più impresso sono i disegni e le frasi dell’artista protagonista del film. Un ex writer che, prima di diventare famoso, girava (marcio) per il ghetto, lasciando piccole grandi perle geniali e graffianti qua e là lungo le strade, come quella che ho usato come titolo della recensione.
Ottima la colonna sonora di John Cale che spazia dalla musica classica al rock, accompagnando alla perfezione tutta la pellicola.
Come in quasi tutti i film biografici, la storia è un po’ romanzata per rendere l’opera cinematografica più affascinante, ma il personaggio arriva alla perfezione, quindi, in conclusione, giudico questa pellicola molto positivamente.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Anche il primo di Schnabel non mi ha convinto. Eppure è il suo campo, e pure semi-biografico. In questo film, anni '80, arte e sballo, lotta e sconfitta, emergono a tentoni, traballanti, un po' come l'andatura del affascinante, stravagante, debole artista. Ho trovato il personaggio annacquato da una sceneggiatura superficiale, semplicistica (Schnabel lo fa).
    Il cast pirotecnico (pure le comparse sono d'élite) tiene a galla ma nulla più. Artiglieria pesante, quindi, ma il fuoco non colpisce, il genio del giovane artista brucia ( d'autocombustione) sullo schermo, senza esplodere in sala Uander.
    La scena che ho preferito è il primosguardo verso il surfista perché mira a qualcosa che, purtroppo, non si realizzerà.
    Domanda: Warhol avrebbe messo quella musica sulle sue immagini ante mortem?
    Ecco: Schnabel è un regista da "Halleluja" sui titoli di coda.

    Di qui il mio dubbio che, pur vivendo quei garage e quei loft newyorkesi, Schnabel non abbia colto l'essenza. Non che fosse facile, eh.

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