XV° secolo russo di Tarkovskij

Sala Uander intensiva. Non c'è la gatta, i topi vanno in palestra. E' il momento di togliersi i sassolini, anzi i mattoni. Nel 1966, il regista russo Andrej Tarkovskij realizzò un filmone di più di 3 ore incentrato sulla figura del pittore monaco (poi santo) russo "Andrej Rublëv", 1360-1430. Regia rigorosa e ottima fotografia; ok, non certo un thriller...
La pellicola, sotto forma di episodi, ci offre scorci della storia conosciuta di questa importante figura artistica e religiosa russa. Episodi più o meno slegati tra loro, spezzando il ritmo (che ne risente, oeh se ne risente...) e investendosi quindi dell'ambizioso incarico di divenire cronaca universale della storia russa dell'epoca. Compito che assolve a pieni voti, con quadri in bianco e nero eleganti seppur dalle tinte forti. Spesso le immagini sono davvero crude (cadaveri ammassati sul terreno, ferite sanguinose, torture feroci, animali travolti), ma l'aura religiosa mantiene il film su di un piano alto. Per qualcuno l'artista dev'essere timorato di dio, restare umile, razzolando poi male, però. Anche Rublëv ha i suoi turbamenti: non vuole continuare a "terrorizzare la gente" con Giudizi Universali incombenti, poiché essa conserva in sé anche grandi virtù. Insomma roba così.
Rimangono in mente le immagini del volo narrato nel prologo (le acque come specchi de "L'infanzia di Ivan" precedente, con gli stessi alberi a rompere le linee), la conquista di Vladimir e della sua chiesa da parte dei tartari crudeli (sequenza chiusa da due rallenti d'effetto). Il cinema nitido di Tarkovskij può colmare lo schermo con figure, oggetti, scenografia, primi piani. Il risultato è sempre quello di una leggerezza acquisita con anni di approfondimento in campo estetico. Sul piano del ritmo e dell'interesse, eh come dire...mezzi avvisati.
L'epilogo è composto di 10 minuti di dettagli di alcune icone del pittore sacro, ciò la dice lunga sull'ambizione del regista riposta in questa opera.
(depa)

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