Bevo e sono (quasi) felice

Terza giornata di campionato per la rassegna che ruota attorno a "Venezia 2013". Il calendario propone un incontro di cartello: il Pardo d'Oro. Locarno è un festival di cui mi fido. Poi il premio di quest'anno è andato ad un sudcoreano, quindi mi siedo ben disposto. "La nostra Sunhi", di Hong Sang-soo, mi ha convinto a metà. Mentre Marigrade ed Elena si sono rotte le palle, mi sono ritrovato a sorridere più di una volta. Ciò non può bastare, però. Le debolezze della pellicola vengono a galla. E, soprattutto, come la Concordia, emerge enorme e disastrata la mediocrità del festival svizzero di quest'anno.
Per la serie: "Se questo era il migliore...". Comunque, partiamo dall'inizio. Una dolce melodia da carillon accompagna i titoli di testa, qualche paura, ma coi registi sudcoreani, si sa, si può e si deve anche scherzare. Vediamo. Che bello. Alberi, sole, ok qualche pioggia. Però i colori sono quelli tipici dell'accogliente penisola asiatica che, sulla celluloide portata dal Levante, abbiamo imparato a riconoscere. Poi c'è quell'accento con impennate e sospiri. Ritmo isterico (che della musichetta iniziale conserva ben poco). Inquadrature fisse e, scoop!, zoomate che non si vedevano da un po', speriamo abbiano carattere...
Il valzer inizia e il girotondo per gioco s'avvia. Tre ragazzi e una ragazza. La "loro" Sunhi, appunto. Ma non c'è amore, a parer mio. La dinamo è alcolica. Chi spinge la giostra sono la birra e, soprattutto, il soju. E, allora, fa sorridere, fa venir voglia di bere, inno alla vita e al disastro, voglia di sedersi e bere uno di fronte all'altro/altra. Non in piedi, non movida. Bere e smangiucchiare qualcosa (un pollo, ma sì!). Bere sino a ripetere sempre le stesse cose. Dejà entendu a ciclo continuo e remixato (perché dopo un po' non ci si ricorda chi ha detto che). Le più belle chiacchierate avvengono all'Arirang (tributo a Ki-Duk?); ma, come avviene nel bere, il rischio di entrare in un vortice di vuoto c'è. E questo film ci casca con un piede (gli zoom di cui sopra mostrano il fianco, quindi). Anche perché le conversazioni a "%vol", in questa pellicola, non s'alzano mai su temi affascinanti. Effetto voluto, certamente, perché non è che si può pretendere di più da chi si regge a malapena in piedi! Ma è inevitabile, si paga dazio, il dayafter è repentino, dopo l'ora e mezza arriva subito. Sbam! La Nouvelle Vague gridò il nonsense. Qui si blatera da gonfi, con un'eccessiva pretesa d'ironia. Io ho riso, ma si sa che col sake...
Buona l'idea, ma stroppiata. A Locarno, quest'anno, o vuoto etilico o giuria ubriaca. Altrimenti incomprensibile il Pardo.
(depa)

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