La "Nouvelle" n'est pas mort!


In concorso alla 70° Mostra d'arte cinematrografica di Venezia (2013), c'è stato anche l'ultimo film del regista e attore parigino Philippe Garrel (classe 1946). "La gelosia" per gli amanti dei freschi film della Nouvelle Vague in bianco e nero, tragici e leggeri come solo loro sapevano, è un tuffo che si vorrebbe ripetere all'infinito. Su e giù, su e giù, proprio come le spinte di quel dannato unico cuore.
Ha ragione, il regista, quando dice che diverse possono essere le reazione di fronte a questo film perché "appartiene a un tipo di cinema che tra un po' non esisterà più". Purtroppo aggiungo io. Già, il cinema che innalza una passeggiata a momento irripetibile, seppur riproposto, un dialogo in una stanza arredata alla bell'e meglio, a scambio di parole indimenticabili, anche se già scomparse. Molto di autobiografico nell'ultimo lavoro del regista, a quanto pare. Pellicola in famiglia, inoltre. Tale padre tale figlio, francesi tenebrosi con belle donne ai piedi prima, alle spalle dopo. Louis Garrel è degno erede, il testimone, infatti, viene passato proprio sullo schermo. Il Cinerofum deve scoprire questo autore francese. Perché Il Cinerofum ama questo cinema, va pazzo per quel fiato che viene a mancare quando la propria (mai termine più improprio) donna prepara le valigie e, col sorriso più bello e doloroso, ci sospira "me ne vado, ti lascio, è finita". I sentimenti raffigurati con un tocco che catapulta in una vita, dopotutto, non così rose e fiori, ma affrontabile con dialoghi e sguardi che fanno corazza attorno al cuore.
Bravissimi gli attori, compresa la simpatica figlia di Philippe, figlia di finzione ma sorella di vita, quindi, del protagonista. Sorprendente la naturalezza delle sue più piccole espressioni. Così come sono perfette le espressioni (e le rughe ai lati del sorriso) dell'affascinante Anna Mouglais, voglia di passeggiare con la 35enne di Nantes lungo gli Champs-Élysées.
"La jalousie" è stato uno dei pochi momenti emozionanti di questa scarsa rassegna 2013, avrei voluto continuasse per ore. E invece, finisce così, su una panchina, rifugiato in quegli affetti dove, generalmente, ci si può leccare le ferite di là fuori, tra una carezza e una nocciola.
Voto: 7,5.
(depa)

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