Un unico volo di un attimo in Terra Santa

Penultimo giorno di rassegna dedicata alla Mostra di Venezia 2013. Ultima serata milanese, per Marigrade, con in programma l'ultimo film del regista israeliano Amos Gitai (classe 1950). "Ana arabia" è un film coraggioso, non privo di una sua poetica, che punta alto: un unico piano sequenza di circa 80 minuti che permette di vivere un magico non luogo di Giaffa, incrocio d'alberi e cemento, arabi ed ebrei ad ereditare una storia che pare intollerabile.
Certamente non è un film per spassarsela. Vi auguro di essere riposati, quando lo vedrete. Ma l'esperimento ha del fascino e, personalmente, l'ho trovato riuscito. Girato in maniera sapiente, conserva il ritmo di un volo di farfalla tra ruderi cadenti ed erbe che non mollano (l'ingresso e, soprattutto, l'uscita "rivelatrice" da questo mini sobborgo sono attimi d'ottimo cinema). I frammenti raccolti dalla bella giornalista (Yuval Scharf) nel suo vagare apparentemente senza meta, sono anch'essi nebulosi, sono parole che saltano di rimando dai fatti, la fuga da un campo di concentramento diviene una giustapposizione di lettere pronunciate, di ricordi un po' sbiaditi, un po' celati. Anche la melodia che accompagna questa delicata incursione, per una volta senza bombe, nella vita più comune possibile, nonostante quella Terra così diversa da ogni altra, contribuisce a dare alla pellicola una cadenza che spinga alla riflessione.
Forse, racconti più concreti, tangibili, avrebbero reso questo film un po' più appetibile. Ma apprezzo la scelta del regista, in barba ad un cinema take away, di tendere ad uno più alto, con recitazione stemperata e ritmi comuni, perciò nuovi.
Voto: 7.
(depa)

1 commento:

  1. Ieri sera, al Festival della Poesia (Genova, Palazzo Ducale), è stata proiettato un altro piano sequenza, "Il libro di Amos", l'ultimo cortometraggio dell'autore israeliano. Esercizio che ha il merito di non restare freddo, anzi, essendo un grido di disperazione, disgusto, minaccia, esortazione, speranza; testimonianza dell'impossibilità di combaciare dei frammenti del Sacro e del Caos. La preghiera sempre interrotta dal suono delle armi, dall'incessante ricorso allo scontro.
    Gli attori che guardano la camera, se da un lato rendono l'esercizio stilistico più evidente, dall'altro ci inchiodano alle nostre responsabilità. La 5a delle 7 "prese" è quella giusta e ha la potenza e il ritmo ricercati dal regista, danza infernale su di una Terra che era Santa.

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