L'ebbra ubris di Herzog

Ieri sera, in sala Uander, è tornato a farci visita Werner Herzog, con un altro affascinante tuffo nell'Amazzonia: "Fitzcarraldo", del 1981, conferma l'abilita del regista tedesco nel ricreare le atmosfere rarefatte di nature selvagge, avvolte ancora una volta dalle nuvole, come in "Aguirre...", dai sogni e dalle paure dei piccoli uomini che le abitano o attraversano.
Kinski e Cardinale danno forma ad una coppia piena di fascino e di determinazione, perfetta protagonista di questa pellicola in linea con l'intera opera herzoghiana: passioni folli e sogni grandiosi che possono spostare montagne. "Oh Fitz, dei proprio matto" sussurra lei al suo ambizioso amato dai capelli arruffati. Ancora una volta tra le rive scure peruviane, luogo ideale di sogni e incubi, illusioni e miraggi, con suggestive immagini dal taglio naturalistico. "Ora tocca a te, Caruso!" grida Fitz al cielo e alla foresta, guanto di sfida pericoloso, nel sogno di carne e di ossa. Tra noi e l'Eldorado, tra l'Io e una nave in cima ad una montagna, sono infinite pazzie, miliardi di morti. Il fatto che tali traguardi siano irrealizzabili, rende il tutto più atroce e ironico. Per questo ci viene in soccorso la macchina dei sogni, nel caso specifico un Herzog in grazia (non più "furore") di Dio. Fino a quel dannato, solito goccio di troppo.
E, più che una storia di montagne e profeti, questo film assume le note di un'ode ai sogni, alla lirica e, quindi, al Cinema. Cavolo!, Herzog supertestardo ha voluto questa pellicola a tutti i costi. Meritato il Premio alla Regia a Cannes 1982; le immagini della nave che faticosamente sale lungo il pendio (intensa lentezza azzeccata) e quelle di Fitz che torna con tutta la banda fanno rizzare più pelo, in senso positivo.
(depa)

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