Adèle è travolta, noi con lei

Ed eccomi a posare sul 'Rofum qualche riga, seppur sentita, a proposito del film visto ieri sera all'Eliseo di via Torino. "La vita di Adele", fresco vincitore della Palma d'Oro, è una pellicola dotata di notevole di intensità, dettata in parte dall'incantevole fascino delle due protagoniste, Adele Exarchopoulos (che interpreta l'"Adele" del titolo, classe 1993) e Léa Seydoux (la bravissima "Sister", già apprezzata, dell'85), in parte dalla travolgente passione raccontata prendendo spunto da un fumetto di Julie Maroh. Il regista tunisino Abdellatif Kechiche ("Cous cous", 2007) si limita a stare appresso ai volti (e ai corpi) delle protagoniste, compiendo un sapiente pressing sulle loro emozioni: piacere, gioia, dubbio, paura, dolore.

Bisogna guardarlo. Non so se sia stato il film più emozionante della scorsa quermesse della Costa Azzurra (alludo a "La gabbia d'oro" e a quel film inglese, che furono migliori, secondo me, sul piano estetico), ma le tre ore esprimono sensazioni forti, che vale la pena di vivere. E' la giovane protagonista francese a portare sul proprio volto (eccezionale) e sulla propria pelle tutta sacca delle emozioni. Strepitosa. La Seydoux, pur sprizzando fascino e capacità recitativa, è solo l'alzatrice della schiacciante forza espressiva della Exarchopoulos.
Le insistenti scene di sesso saffico non mi hanno infastidito, merito della dirompente passione, abilmente accompagnata dalla mano del regista. Provocazione vincente? Sì e no. Un po' glielo si deve. Il cinema in un colpo solo si riappropria di una fetta di vita, colpevolmente lasciata sul carrello. Quindi è giusto guardare in silenzio. Un po' pensare che mostrando quelle scene sì pensi di vivere facile, significa dimenticare la nostra società, ben lontana dall'apertura mentale auspicata una cinquantina d'anni fa. Quei corpi non sono mai volgari, anzi, assumono curve artistiche cui il sesso può (dovrebbe) sempre tendere. Il ludibrio non esiste, esiste solo il piacere. Spesso la deviazione è negli occhi di chi guarda, l'esagerazione è annidata nelle sovrastrutture di cui ci ricopriamo ogni giorno. Sempre più superficiali. E questo film non è poi così profondo, ma intenso sì, moltissimo. L'amore, d'altronde, è intensità, profondità solo qualche volta. Per questo motivo ho apprezzato la metrica utilizzata; i rapporti della protagonista coll'esterno sono solo accennati (nell'unica scena non all'altezza, a voler essere più che fiscali, quella dello scontro colle compagne di scuola), la macchina da presa è tutta su e dentro di lei. Sull'improvvisa presa di coscienza di sé, dentro la sua squadernante passione. Non mancano le belle immagini che restano impresse (le due panchine, quella sul fiume illuminata da un sole che bacia sempre Adele, quella circondata da foglie che isolano in paradiso le due innamorate) e i dialoghi coinvolgenti, ma sono le infinite espressioni del viso di Adele a dettare il ritmo ipnotico della pellicola (sguardi, fossette, sorrisi, ciocche), sostenuto dai tamburi della passione e dalle trombe del sesso.
Consiglio.
(depa)

1 commento:

  1. Dai ouh! 'Sto film mi ha fatto apprezzare anche un pezzo dance senza storia, "I follow Youuu!".
    Poi il litigio, le espressioni di Adele, quel suo cercare appoggio, contatto sulla compagna...
    Rimane.

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