Nuova Hollywood, si parte...


Al "circolino", Lunedì scorso, è iniziato un nuovo ciclo dedicato al movimento cinematografico della "New Hollywood". Il primo capitolo è stato rappresentato da "Gangster Story" ("Bonnie & Clyde"), pellicola del 1967, diretta dal regista di Filadelfia Arthur Penn, classe 1922, scomparso tre anni or sono. Il film che pare aver dato lo scossone determinante al cinema classico americano, dando il via al rimescolamento del mazzo di fronte ad un cinema rattrappito, convince ma dev'essere apprezzato soprattutto per il ruolo simbolico che interpretò.
Una sceneggiatura redatta per i massimi esponenti dello tsunami d'oltreoceano della "Nouvelle Vague" non poteva che lasciare il segno. La brezza è quella, la rabbia la medesima. La mano di Arthur Penn compie le giuste movenze per coniugare quella corrente (il montaggio, i colori, il linguaggio) con la tensione propria della terra U.S.A., realizzando, in questo senso sì, qualcosa di nuovo.
Il ritmo è quello di macchine anni '30 a tutto gas in mezzo ai campi, strimpellata di banjo tra le spighe, la follia è quella di una nazione puzzle cosparsa di armi. Ma la voglia di riscossa è quella di momento storico (quindi cinematografico) che non ne poteva più. Pronto a provocare (la "contro-rincorsa" è geniale), a mostrare denti e cosce, riesce più nel primo settore. Un proiettile in faccia e dialoghi, concetti altri, donano a questa pellicola una grande e meritata onoreficienza. Ma sono solo i primi passi, a mio modo di. L'Hollywood Nuova avvia il rosicchiamento del codice Hays, ma non è una bomba a mano, bensì una miccetta. Il piattino più in basso è ancora quello della forma, sovrastato da quello scalpitante dei contenuti. Perché la trama è quello che è. Storia vera, va bene. Ma prevedibile, classica, checché se ne dica. E il sesso...beh, la bellissima statunitense Faye Dunaway (classe 1941) è tutta da immaginare, ve lo assicuro. Ma le vere picconate a quella faccia da morto che venne (e rimase) dall'Indiana, dovranno ancora arrivare. Per di più, nell'ultima mezz'ora, si assiste alla quiete prima della tempesta di piombo del finale. Nemmeno i corpi trucemente crivellati tengono tesa la corda. Senza dilungarsi sulla sequenza in cui Bonnie di ricongiunge con la famiglia, che non sono riuscito a digerire (scelta stilistica alquanto dubbia, forse da interpretare con ironia).
I protagonisti, comunque, capirono la nuova direzione presa dal vento e misero tutto la loro capacità nel recitare in maniera febbricitante, grandiosa (sia Warren Beatty, qui anche produttore, sia i due giovanissimi Gene, Hackman e Wilder, così come l'ottimo Michael J. Pollard). I primi pollini cominciarono a vagare nell'aria.
(depa)

1 commento:

  1. La settimana scorsa mi sono gustato anch’io questo bel filmetto.
    Mi ricordo che all’inizio l’ho trovato un po’ lento, seppur il sentimento dell’amore era proposto e indagato in maniera molto originale e interessante.
    Tuttavia ho iniziato a godermi una vera e propria sana botta di celluloide quando il clan era finalmente riunito: sparatorie mozzafiato, al pari degli inseguimenti con quel colpo di genio del “dietro-front” che non può non incantare e far sorridere lo spettatore. I personaggi sono ben delineati e lo spettatore si è affezionato abbastanza a loro per poterli accompagnare con la giusta carica emotiva verso la triste e poetica, nota e proposta bene in questa pellicola, fine.
    Insomma, a me è piaciuto, seppur, a voler andare più a fondo, considero interessanti e condivisibili le tue osservazioni e critiche.

    RispondiElimina