Spaccatutto Cristo!

Nel 1988, il regista newyorkese Martin Scorsese, classe 1942, partorì un'opera travagliata quanto discussa quanto dirompente. "L'ultima tentazione di Cristo" parte dal soggetto del quasi omonimo romanzo del 1960, dello scrittore greco Nikos Kazantzakis (1983-1957), per poi trasudare di quell'arte, figurativa e interpretativa, a cui il grande regista ci ha abituato sin dagli albori della sua carriera.

Grandi Woody crescono

Nel 1969 venne realizzato un film che introdusse nel mondo del cinema un personaggio mai visto, figlio di Jerry Lewis, Chaplin e di tutta la preziosa combriccola di attori comici destinati a dar spessore al loro genere cinematografico. L'allora 40enne era già noto al pubblico di qualche cabaret o talk show televisivo, ma per quello del grande schermo fu un vero shock: "Prendi i soldi e scappa" è il secondo film interpretato e diretto da Woody Allen (tre anni prima comparve già lo sperimentale "Che fai, rubi?") e, cosa molto più importante, è il film che ho visto più volte, a pari merito col capolavoro del 1982 di Michele Lupo, "Bomber".

Ora Petr Ginz è un asteroide

Ora, con un po' di emozione, vorrei scrivervi di un film documentario visto questo pomeriggio. Petr Ginz fu un ragazzo di Praga, nato nel 1928, quindi condannato a una vita già morta. Morì ad Auschwitz nel 1944. Morto a 16 anni solo perché dovette aspettare di averne 14, lui "privilegiato", lui "meticcio" metà cristiano metàebreo. Di fronte al folle orrore nazista, questo ragazzo s'aggrappò alla fantasia, pregando Jules Verne d'indicargli la strada che permettesse di non vedere, anzi, vedere altro; un altro mondo. "L'ultimo volo di Petr Ginz" (2012) mostra il crudele e fantastico percorso di Petr verso il Firmamento.

Le verità a fin di male

Stasera vorrei parlarvi del film che ho visto poco fa, dove? Ditelo voi. Esatto. La rassegna sul cinema israeliano ha proposto "Footnote" (letteralmente "Nota a piè pagina"), film del 2011 (miglior sceneggiatura a Cannes), di Joseph Cedar, israeliano nato a Newyork, classe 1968. Al suo quarto lungometraggio, il regista realizza un anomalo mix di comicità leggera e suspense filologica.

Carino, gli serve un restauro

Proseguendo sul sentiero del cinema israeliano contemporaneo, ieri sera mi sono imbattuto in "Restoration", film del 2012, del regista israeliano Joseph Madmony. Il film parte bene, sin dai titoli di testa s'intuisce la sensibilità dell'autore (ritmo ed estetica). Purtroppo il regista non si fermerà e farcirà la pellicola con tutti i temi che gli passarono per la testa, parcheggiando personaggi e troncando situazioni, riprendendo i fili quando ormai sarà troppo tardi. Accozzaglia che fa l'occhiolino al cinema hollywoodiano che non merita nemmeno uno sguardo.

Tra ombre e nebbia… spunta la magia di Woody

Woody Allen, classe 1935, non smette mai di stupirmi in positivo (come mi ha stupito scoprire che, casualmente, anche Depa ieri sera si è dedicato al regista newyorkese). Tre anni fa circa vidi un buon numero di suoi film, ma mi persi questa pellicola del 1991 che, secondo me, è magica. Attraverso giochi di luci (nebbia) e ombre, il regista americano ci proietta in un clima quasi surreale, come surreali sono le vicende di tutto quest’ottimo “Ombre e nebbia”, omaggio in bianco e nero al cinema espressionista tedesco del secondo decennio del XX secolo e a Franz Kafka.

Woody Forever

Alle 19 di quest'oggi, allo Spazio Oberdan, tutti al cospetto del regista che, negli ultimi 40 anni, ha segnato come pochi altri l'arte cinematografica con le proprie opere, ricche di comicità, ironia, acuta e lucida analisi. Cultura tanta, talento pure. Tutta l'eccezionalità della figura artistica di Woody Allen è raccolta nell'emozionante documentario "Woody", scritto e diretto dallo statunitense Robert B. Weide.

Ci si sposta un po' e nulla è più lo stesso

Al via, allo Spazio Oberdan, la rassegna annuale dedicata al cinema israeliano. Questa sera, dopo averci spiegato col documentario "Six million and one" (senza che peraltro ve ne fosse bisogno) che ognuno accoglie il dolore alla maniera propria (film della memoria da vedere in ogni caso, autore David Fisher), è stata la volta del secondo film di Eran Kolirin, regista di quel delicato, divertente, profondo "La banda" che colpì la critica cinematografica (2007). "The exchange" azzarda, gioca alto ma gioca, se non bene, in ogni caso non male.

Era un folle… o forse era un genio…

Ieri sera in sala Ninna ha esordito il regista ceco Miloš Forman. Conosciuto ai più per il pluripremiato “Qualcuno volò...”, diresse nel 1999 un grande Jim Carrey in “Man on the moon”, film biografico che narra la vita e l’arte folle e geniale di Andy Caufman, comico e attore statunitense, o come preferiva definirsi lui, uno showman. Un artista provocatorio, creativo, mai banale, irriverente e divertente, che raggiunse il successo alla fine degli anni ’70.

"Che bella atmosfera che sei" Carné!

Questa sera allo spazio Oberdan ho incontrato un regista parigino degli anni '30-'40, della corrente del cosiddetto realismo poetico, Marcel Carné. Nel 1938 girò il suo quarto film, "Albergo Nord", non così convenzionale, ricco di sfaccettature, sullo sfondo uno splendido scorcio sul canale di una vivace cittadina francese.

Fantaisie de Louis Malle

Nel 1960, il regista francese Louis Malle, satellite della Nouvelle Vague avente luce propria, decise di portare su celluloide la battaglia che Raymond Queneau affrontò su carta. L'anno precedente, infatti, lo scrittore di Le Havre "dichiarò battaglia alla letteratura", trovando il naturale supporto del regista francese, già in guerra (sul suo terreno favorevole però) contro le strutture comodamente ereditate. "Zazie nel metrò" è...

"La Garbo ride" da sola

Torna al Cinerofum (anche questa volta in trasferta, Spazio Oberdan) il regista berlinese Ernst Lubitsch, il quale però, dopo averci conquistato col suo touch nel frizzante "Mancia competente", si dimentica delle voci sulla sua eleganza e sulla sua arguzia e confeziona un film politicamente scorretto e pure banale. In "Ninotchka", del 1939, anche la Garbo con la parola in bocca non pare un gran che, mentre emerge il disinvolto e affascinante Melvyn Douglas.

Un soffio tra follia e compassione

Ieri sera, dopo aver passato un'ora e mezza buona in Piazza "Deffe" a sentire il "Grillo urlante" elencare tutti i problemi e le magagne del nostro bel paese, con buona pace della mia promotrice e compagna di malefatta, ho salutato lei e quel megamix di aggressività e gravi problemi dalle facili soluzioni e, con una smorfia di diffidenza sul viso, mi sono diretto verso la sala Ninna con la voglia di dimenticare tutto... Un film di Kim Ki-duk è proprio quello che ci voleva! Questo artista coreano della settima arte mi ha sempre regalato con le sue pellicole, emozioni intense e particolari e questo "Soffio" ("Breath") del 2007 non ha fatto eccezione.

La Divina diabolica

L'altro ieri sera, all'Oberdan, parentesi di cinema autentico: tra un Coppola (F.F.) ed un Anderson (W.) privi di senso cinematografico, fa ingresso nel Cinerofum il regista americano Clarence Brown, il quale, nel 1926 diresse una delle dive del muto, la svedese Greta Garbo, coadiuvata da un degno erede del mitico Rodolfo Valentino, John Gilbert: “La carne e il diavolo”, 1926.

Filmetto? No, filmaccio

Stasera, allo Spazio Oberdan (Elena astutamente rimasta a casa), ho portato avanti il discorso Wes Anderson. Questi, invece, ha girato i tacchi ed è arretrato, riportando l'arte della Settima ad un preoccupante ed irritante stato infantile. "Moonrise Kingdom" ("Una fuga d'amore", 2012) è un brutto film, sponsorizzato con malcelato imbarazzo da chi, fedele al detto einsteiniano "E' più facile spezzare un atomo che un pregiudizio", non vuole ammettere che il regista americano è ben poca cosa (un po' come credere di aver usato bene i proprio ultimi 20 anni, sempre vicino a chi oggi chiarisce che le tangenti "sono normali commissioni che si devono pagare per fare affari"…).

Ma che combini, Coppola?

Ma come, Francis, riesco a raccattare un brandello di Cinerofum (in sala Uander io, Elena e Albert Aporty, sommersi dalle frittelle con crema) e tu cosa fai? Ci ricompensi con una schifezza che rende chiaro il concetto di "perdere tempo". Dopo due sfortunati tentativi di vedere qualcos'altro, ti abbiamo dato fiducia, rimanendo scottati oltre modo; eppure all'inizio, quasi quasi..."Twixt" è uscito nelle sale el 2011.

Chaplin fa le presentazioni ufficiali

Con il cortometraggio "Charlot vagabondo" ("The tramp"), nel 1915 Charlie Chaplin ufficializzò il connubio tra lui e la maschera del vagabondo: personaggio un po' sgangherato, di buoni sentimenti, teneramente romantico, tanto da sembrare alle volte fanciullesco e dalla verve comica unica e impareggiabile.
Trentadue minuti di risate condite da una trama attraverso la quale lo spettatore vide per la prima volta ben delineate tutte le caratteristiche del personaggio, che emozionerà l'appassionato di cinema per ancora tanti, tanti anni.

Al Max qualche schiaffone

Dopo aver scritto bene del pazzo treno indiano di Wes Anderson, con solo un "-" sul registro, ora mi sento meno colpevole nell'accanirmi un pochetto contro il suo secondo lungometraggio: "Rushmore" è un film del 1998 e, se mostra già in nuce la voglia di divertire con situazioni assurde e imbarazzanti, non ne testimonia ancora la capacità. Giudizio personale, sempre.

Quando manca la libertà...

Il  primo weekend del mese ho avuto il piacere di trascorrere dei bei momenti a Berlino, città nella quale non ero mai stato. Tornato in quel di Zena, per dare più forza alle sensazioni che ho provato in quei giorni passati nella (ex) parte est della capitale tedesca, ho voluto rivedere "Le vite degli altri" (2006) di Florian Henckel von Donnersmarck, film drammatico, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero, che si confronta con la storia della DDR e indaga lo scenario culturale della Berlino Est controllata dalle spie della Stasi.

Ottimo treno sino alla penultima fermata

L'altro ieri sera, all'Oberdan, ho avuto occasione di far accomodare, all'interno del Cinerofum, un regista molto apprezzato dalle nuove generazioni. Wes Anderson è un regista texano, classe 1969, che fa della commedia spiritosa e dei buoni sentimenti la sua specialità, muovendo abilmente la m.d.p. di conseguenza, rallentando sui corpi che si muovono tra scenografie ricercate e affascinanti e sulle note di ballabili anni 70. "Il treno per il Darjeeling" è un film che vidi già al cinema quando uscì, nel 2007, e ne confermo il giudizio di allora: buono, non ottimo.

Wilder esalta Marilyn Monroe

Era da un po' di tempo che non mi gustavo una classica commedia di Billy Wilder e così, l'altra sera in sala Ninna, mi sono rifatto alla grande con "Quando la moglie è in vacanza", pellicola del 1955, attraverso la quale il regista e sceneggiatore di passaporto statunitense fece una (psico)analisi in chiave comica della tentazione di tradire la moglie, che un uomo medio di allora poteva avere.

Dreyer e le casalinghe

Questa sera all'Oberdan è andato in scena un Dreyer particolare, senza audio ma accompagnato dal vivo da un elegante pianoforte: "Il padrone di casa" (o "L'angelo del focolare") è un film muto del 1925 in cui, però, il regista danese parla eccome, sia via didascalie, sia tramite la sua arte sopraffina, elegante ed ironica.

Rilassiamoci un po' con l'amico cinema

Mi capita molto raramente di guardare una commedia americana che non abbia almeno una ventina d'anni e, quelle rarissime volte che mi arrendo a pressioni esterne, rimango sempre deluso: zero risate, zero contenuti e l'idea fissa in testa di aver buttato via un'ora e mezza della mia vita. Qualche mese fa ho seguito, quindi parecchio titubante, il consiglio di mia sorella Alice (uheeey! what's up?) e ho guardato "Ted", commedia uscita nelle sale nel 2012, e devo ammettere che mi sono sorpreso più volte a sganasciarmi dalle risate.

Dreyer e la fede

Altro Dreyer, altra stoccata alle religioni; magari il regista danese ne reputa qualcuna un po' meglio di un'altra, ma la musica cambia poco. In "Ordet" (1955, sua penultima opera), un paio di vecchi rincitrulliti si azzuffano sui minimi sistemi, un pazzo si crede Gesù (e alla fine, forse, c'ha pure ragione), una buona donna s'illude che l'amore divino esista (e verrà punita con la morte)...e va a finire che l'unica sana è la bambina che, chissà per quanto ancora, ha una fede tutta sua, fatta più di tenace speranza e sana illusione, che di dogmi, riti e pregiudizi.