Cinema Cina...che macina


Questa sera, al "Circolino", un altro cinese (ricordo il titolo del ciclo, "Cina: prima e dopo..."); questa volta, in programma, una pellicola del 1963 colorata dai più tenui technicolor e più retti sentimenti, diretto da Tieli Xier: "Primavera precoce al secondo mese lunare".

Come anticipato dal simpatico e appassionato curatore, "il finale ortodosso riabilitò questa pellicola agli occhi del potere dell'epoca, permettendone la diffusione in patria e in Occidente" (comunque limitata). Pellicola che assume valenza particolare proprio per "il ruolo che ebbe nel dare il la all'interesse della critica internazionale verso il cinema cinese" ("sino agli anni '80 la cortina di bambù riamarrà ben salda"). Peccato, però, che si tratti di un vero e proprio "melodramma", film "di genere" che, solo nel finale, appunto, scuote le carte, ponendole in posizione più interessante. Tutto negli ultimi minuti (non è la prima volta, tra le proiezioni presentate in questa preziosa mini-rassegna). Nell'introduzione al film si precisa che, dietro gli eventi narrati, "si possa intravedere un frammento autobiografico din uno scrittore rivoluzionario che compì pressoché le stesse mosse del protagonista" (tal Ron Shi).
Colori pastello che ben delineano la soffice atmosfera orientale, fatta sì, di rami cesellati con fiori di pesco, ma anche di schiene piegate da un'inerzia culturale ingabbiante quanto la celebre Muraglia. Dissolvenze classiche per un teatrino rurale in cui i silenzi avvilenti si alternano a musiche avvolgenti, rendendo bene l'idea del malessere inconfessato, ma più che mai vivo, che attanagliava il suggestivo borgo rurale, ben lontano dal "tumulto del mondo" da cui fuggono i suoi ingenui abitanti. Comunità che sono contenitori di oggetti immobili, senza la spinta di agenti esterni (istruzione). A metà film, compare qualche inaspettata inquadratura obliqua, apparendo come un lampo quasi incomprensibile (dietro a quella suonata c'è dell'alcol, in effetti; dopo verrà un movimento macchina verso l'alto, durante una cena disperata, altrettanto fuori luogo). Il film, quindi, ricordandosi del pubblico abbandonato lì davanti, decide di lasciare un'epigrafe su cui rimuginare lungo il ritorno sulla metro rossa: i ragazzi che rincorrono la palla diventano "un'indecenza!", "il dispotismo è più feroce di una tigre!". Sì, va bene, però...(Maxi Lopez sotto la Sud). E la sintesi?...A causa di ciò, mi sono sentito esattamente come il tenace e coerente (idealista?) professore, impelagato dalle futili ed ipocrite chiacchiere di paese.
(depa)

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