Contro il muro di se stessi

13 febbraio, "Reggae Hostel", Kingston, Jamaica. Era tardi, ero stanco per il viaggio da Negril e tutto quello di cui avevo bisogno era un po’ di compagnia for “the last spliff”. Ho incontrato Paul, "personaggio", estimatore dell'espressionismo di Lang e compaesano di Fassbinder e Herzog, con il quale le passioni in comune si sono rivelate parecchie e su tutte quella per la Settima Arte. Ci siamo scambiati molte opinioni e il film tedesco che più mi ha caldeggiato è stato “La sposa turca” (t.o. "Gegen die Wand") di Fatih Akin, del 2004. Yah man! Gran bel suggerimento…
Film emozionante, pieno di spunti di riflessione sull’animo umano e che vive soprattutto di un caotico susseguirsi di eventi che portano ad indagare sempre più a fondo i desideri e le emozioni dei due protagonisti. Sibel appare subito vittima delle costrizioni che la sua famiglia turca e all’antica le impone, ma si rivelerà in realtà soprattutto vittima di se stessa e del suo incontrollabile istinto all’autodistruzione, spronato dalla voglia di evadere da quella gabbia sociale, ma finché l’istinto alla ribellione diventa un ossessione, imprescindibile da ogni convenzione sociale, accettabile (da lei stessa) o meno che sia. Cahit è “morto dentro” e trova in lei una sorta di motivo di rinascita e di autostima, un passaggio tremendo e tortuoso della sua vita, ma fondamentale per il raggiungimento dell’equilibrio, perso totalmente e tragicamente insieme all’amore. Uno scontro “contro un muro”, come recita il titolo originale, un impatto tremendo, doloroso e che porta ad una serie di eventi lunghi e sofferti, ma fondamentali per la rinascita di entrambi. A tal proposito, è a mio parere censurabile la rivisitazione italiana del titolo che sposta erroneamente l’attenzione sul discorso razziale, importante punto di partenza, ma non punto centrale dell’indagine di Akin: l’essere umano.
Il film parte con alcune riprese che offrono subito un saggio della bravura del regista turco- tedesco mentre il protagonista risulta già un personaggio accattivante. La protagonista femminile anche, gli attori interpretano alla grande il ruolo e  l’opera scorre rapida e appassionante grazie al già sopracitato susseguirsi incredibile di eventi, cambi di rotte e colpi di scena. Si rallenta solo, ad hoc, nel momento più drammatico, un punto di svolta della storia proposto alla grande dal regista che emoziona attraverso l’ottima sequenza che parte con Cahit e la sua richiesta di chiamare un ambulanza, passando per la scena delle foto bruciate dal padre di Sibel, fino al rabbioso inseguimento che lei subisce dal fratello.
Cahit e Sibel: uniti da un destino comune, bisognosi l’uno dell’altra per rinascere e crescere, uniti dall’amore, ma un amore senza regole o schemi, solo istinto che finisce con il bisogno, ma non per questo un amore meno potente o sincero.
La colonna sonora che alterna pregevolmente momenti di “rock-pesante” a tipiche “musiche turche” che narrano la storia dei due rende ancora più grazioso tutto il pacchetto.
Gran bel film nel quale non ho trovato punti deboli.
Respect Paul.
(Ste Bubu)

2 commenti:

  1. „Scorsese and other Italian Americans needed 70 years until they started making their films. It took the French Algerians 30 years for their cinema beur. We are faster. We start right now.”
    This is an Akin quote, which is as I think, as cheeky and hungry for life as this movie; screaming at you and being right. I haven’t seen the film in a while, but I do remember the powerless feeling of watching everyone proceeding at full speed to their own destruction. Passion and despair keep on clashing so loud that by the end of the film it leaves you deaf. Deaf and – yah man – EXCITED!

    Now one last word about the main things in life: Lazy jamaican-spliff-world, I miss you!

    Selamlar! Paul

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  2. Interessante il discorso riguardo al titolo e sono d'accordo, il discorso è ben più ampio (anche se la stupidità di una famiglia non può che avere ripercussioni sulla stabilità di una ragazza). Accanto alla miopia religiosa ("Allora, avete salvato l'orgoglio?"), s'accosta quella del passante o parente che debbono terminare il lavoro.
    Come hai detto il ritmo è buono ma, per il resto, di punti deboli ne ho trovati: alcuni dialoghi più che deboli ("Mi sa che è lei che deve curarsi!"), qualche artificio goffo (il rifiuto iniziale della proposta di Siebel, la necessità della stessa di avere in sorte proprio quel marcione)...il doppiaggio in italiano peggiora le cose è vero, ma qualcosa nel cinema tedesco contemporaneo (e lo dico perché noi stiamo peggio) ancora non va. La sceneggiatura, se è ricercata nel raccontare scelte più autentiche e meno coreografiche, altresì casca in alcuni passagi piuttosto prevedibili (insomma quei due di ameranno...).
    Il regista gira bene ma ne risultano bei quadri compitini non amalgamati in un affresco che lasci un ricordo.
    Ritengo inspiegabile quindi, l'Orso d'Oro 2004, senza ricorrere a sospetti d'imparzialità.

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