Bombe contro l'occupante

Oggi pomeriggio, in sala Negri, dopo vani tentativi, sono riuscito a rivedere quella videocassetta che appoggiai lì già qualche mese fa. Perché "La battaglia di Algeri", pellicola del pisano Gillo Pontecorvo, datata 1966, sarebbe dovuta comparire tempo fa sulle pagine digitali del Cinerofum, sia per la sua valenza artistica, sia per quella sociale (indipendenza algerina del 1962).
Sociale perché, è chiaro più che mai, in questi giorni di fumo organizzato in mass-media che compra-vendono ai padroni le proprie parole, che al cinema è chiesto uno sforzo ulteriore, quello di mostrare e ribadire su quali basi poggino le ingiustizie sociali, sia quelle di ieri, sia quelle di oggi. Raccontare crimini del passato può essere frustrante, Pontecorvo esaspera questo disagio strutturando la pellicola come l'atroce ultimo flashback di chi è già condannato. Impossibile porre rimedio, ogni risarcimento assumerebbe quel fastidioso gusto simbolico-ipocrita che non sopporto. Quindi, a questa stupenda pellicola, la funzione di monito. In pratica già tradito. Ed ecco che la voce fuori campo a volte usa le parole dell’FLN, altre esprime il volere dell’occupante francese. Perché si può comprendere benissimo la voglia d’indipendenza degli algerini in terra propria, ma ha la sua logica (militare e colonialista) anche la strategia messa in atto dal colonnello (Jean Martin, che davvero combatté con la Resistenza durante la IIa Guerra Mondiale e coi parà in Indocina). A suggerire come il crimine parta dall’alto, il malinteso sia alla base, lo stato confusionale (criminale) sia attribuibile maggiormente a chi ha la presunzione di essere cresciuto coi Voltaire e coi Zola, ma ancora non riesce a non sparare piombo e sputare veleno come il più meschino degli essere viventi. E, mio caro Colonnello, un motivo per cui i Sartre (che il regista “tennista” conobbe) “nascono sempre dalla stessa parte”, c’è, eccome…
Il fatto che il film sia stato proiettato in Francia solo nel 1971, la dice lunga su ciò che ho inteso esprimere, malamente, in queste precedenti righe.
Valenza artistica che emerge, non certo dal Leone d'Oro attribuitogli, bensì dal suo indimenticabile bianconero, dal suo montaggio ben ritmato sulla base di una sceneggiatura attenta ed emozionante, dalle sue angoscianti musiche, frutto di un lavoro a quattro mani del regista e di Ennio Morricone. Tutto è orchestrato perfettamente: ticchettii e rulli di tamburi assillano lo spettatore preparandolo al peggio. La casbah arrampicata, a cercar rifugio e compattezza, e i volti ben solcati dei suoi abitanti raccontano più di tanti scritti.
Insomma, arte e giustizia: gran bel cinema.
(depa)

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