Non c'è posto per amore

Sempre ieri pomeriggio, eh sì perché Luis Buñuel si è fermato ancora un po' in sala Negri, ho potuto rivedere un film davanti al quale crollai una sera, vinto dal sonno, al solito "Oberdan". "Nazarin", in realtà, ha una forza deflagrante, la potenza della disillusione più atroce: quella di un'umanità che sappia stare al mondo. 1958.
Traducendo in cinema l'omonimo romanzo del mostro sacro della letteratura spagnola Benito Pérez Galdós, il regista ha messo in scena un'ora e mezza di piano inclinato disperato. Nazarin le sopporta tutte con la rassegnazione più candida e decisa, ma pare una creatura non pronta a respirare sulla terra, piccolo insetto destinato ad essere schiacciato. In questa pellicola, non ho visto solo il classico attacco alla religione cristiana ("stupida superstizione" , ipocrita credenza, meccanica professione), al mondo clericale o a quello borghese, ma un J'accuse dal ben più tragico respiro. Poiché, a martoriare l'"eretico" Nazarin, ci pensano proprio tutti, nessuno escluso. Chi lo segue lo fa per vantaggio, chi lo difende lo fa senza convinzione, lo sguardo lesto verso la mano che offre qualcosa di più prezioso (pane o danaro). Il destino di chi crede in valori oramai di poco conto pare essere già scritto: adorato, sfruttato, percosso (come un certo asino, errante anch'esso, tra caso e soprusi). Un ribelle che non lo è, che offende i principi morali della chiesa, ecco chi sarà ogni prossimo Nazarin. Non resta che osservarlo mentre finisce male.
I volti, i corpi, le movenze e le pause appartenenti allo stile del regista, affibbiano alla pellicola una grinta diabolica che lascia sgomenti.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento