Amour mortis

Resnais Resnais, Alain Resnais. Doveroso il tributo dell'"Oberdan" dedicato al regista francese recentemente scomparso, altrettale il mio dirigermi verso la sala Alda Merini. Il primo dei tre film visti è "L'amour à mort", del 1984. Pellicola sulla forza cieca dell'amore, quella che non spinge a confondere i contorni della morte, che diventa quindi una semplice, seppur angosciante, porta verso il luogo affollato dai nostri cari.

Questo film decisamente intellettuale, che per la prima metà (sino all'episodio chiave...) ci racconta un profondo amore senza macchie, vira improvvisamente (ma la dama nera è sempre sullo sfondo) verso i toni cupi della disperazione e della solitudine. Le possibili elucubrazioni, supportate da una serie incessante di inquadrature "nere o innevate" (di una decina di secondi l'una), pause che permettono di elaborare le immagini trascorse, sono molteplici e, altresì, già ascoltate. L'amore oltre la morte, la fede che imbriglia più che innalzare, la solitudine di fronte al proprio compagno, al proprio Dio. Esteticamente sgrassato e lucidato, ciò nonostante non è riuscito a scorrermi via con la pretesa leggerezza; non so se siano state quelle audaci pause, ma il ritmo mi ha costretto ad un'estenuante sfida di resistenza.
Dovendo consigliare chicchessia, direi di partire da altri Resnais, anche se, vedere alcuni membri della combriccola del regista nel fior fiore o quasi (Azéma, giovanissima, e Arditi), è un vero piacere.
(depa)

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