Grand vaccatà de Anderson

Nessuna sorpresa direi. Mi aspettavo questo e questo è stato. Ormai Wes Anderson è perso nel suo mondo per bambini, ammiccante ad un pubblico di adulti con tanta voglia di frivoli rewind, senza troppe pretese. "Grand Budapest Hotel" è proprio quella stronzata che m'aspettavo, non so nemmeno se dirvi di provare: ad alcuni potrebbe piacere e vorrei non venirlo a sapere, a quegli altri farei soltanto voglia di richiedere indietro il prezzo del biglietto. Meglio non rischiare.
Va bene, dai. No, scusate. E' un gran film davvero. L'ho apprezzato per l'affascinante intreccio, complesso sotto le mentite spoglie di favoletta bon-bon, capace di rapirmi...uhm. Bella la fotografia, mai esagerata nei suoi colori decisi, ora sgargianti, ora bui, sempre adatti a rendere compatta la scena di turno...già. Poi i personaggi, i soliti creati dalla fervida mente del grande regista statunitense...niente, non ce la faccio.
Inizio a non sopportarlo più questo regista sopravvalutato (come ho già scritto, il suo miglior lavoro, per me, è un corto) e, forse per questo, fastidiosamente autocompiacente. Perché insiste, maledetto lui, basta sbirciare nei suoi ultimi lavori. Ci sono stormi di adolescenti che fanno coccodé appena esce un suo film (qualcuno gli ha pure dedicato una canzone, magari proprio per accontentare un glabro pubblico ginnasiale sognante; ahimé non scalpitante). Non solo, a Berlino, anche una giuria di critici s'è persuasa. Se aggiungo anche solo un goccio del cast stellare messo in campo dai produttori, sale un profumino di mossa commerciale acidina, ma più che riuscita, ascoltati i botteghini. E' il cinema peggiore che possa essere messo in sala. Anche salvare la carezza data a quel razzo nello spazio che è l'arte della narrazione, servendosi di questo film, sarebbe un reato grave. Perché vi basterà guardare uno qualunque dei film recensiti sul Cinerofum per apprezzare cosa voglia dire il dolce incanto del racconto (capace di crescere, rafforzare, redimere, anche). Senza, perciò, ricorrere ad un film in cui assisterete ad una fuga da un Alcatraz himalayano senza ritmo né senso (alla fine della fiera, sbarre tagliate in quattro e quattr'otto). "Ma sì, ma sì è una favoletta, non hai capito il senso". Ok, sono io che non capisco. Prego, spiegare il dettaglio del gatto persiano raccolto al guardaroba. Ah, giusto, fa ridere. Avanti: montaggio discutibile in senso stretto (caso delle due funivie che s'incrociano) e lato (perché mostrare il momento del sodalizio tra i due ragazzi mentre M. Gustave è ancora incarcerato? Inciso: la figura del concierge è l'unica minimamente studiata).
Riassumendo: questo "film" fa anguscia sul piano estetico (perché codardo), narrativo (sembra una partita a cluedo, versione junior < 12), dei dialoghi (ironia da barbapapà, su tutti l'odioso "non la corteggiare") e del ritmo (gag del tipo "sfondo-la-porta-ops-s'è-aperta" oppure "ti do un pugno poi lui lo da a me e lui lo da a quell'altro"...sì giuro) e cinematografico in senso stretto: mi rompo le palle di fronte ad immagini di scarsa qualità.
Cinema socialdemocratico!
(depa)

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