"Ecce Homo!" di Kurosawa

Ieri sera, indovinate dove bravi, è iniziata la succulenta retrospettiva dedicata al grande maestro Akira Kurosawa. E si parte alla grande, come prevedibile. "Il castello della ragnatela" (a.k.a. "Il trono di sangue"), del 1957, è un film coi fiocchi. Pathos tratto da Shakespeare e fatto brillare in una sala cinematografica, con rapidità, silenzio, clamore e sgomento.
Pellicola cupa impeccabile, figlia del "Macbeth" , con tanto rigore e altrettanta forza. Lo stile di recitazione essenziale, stilizzato tipico del teatro orientale (o "No"?), amplifica le potenza espressiva degli interpreti, su tutti il protagonista, un gigantesco Toshiro Mifune.
Fujimaki era un traditore, ma mille ne sorgono già nella bramosa stirpe umana...Così potrebbe introdurre una didascalia per questo film, o per tante altre cose. Il Guglielmo d'Oltre Manica, è noto, sapeva colpire dure, andare al punto, un grande. Kurosawa ha la stessa pasta nel nuovo campo artistico del XX secolo, quello cinematografico. Dopotutto è vero, Washiku incarna un tutti noi. Non c'è elemosina, beneficenza, voto o carezza che tenga. Una confessione, tutt'al più. "L'uomo è strano, quando desidera qualcosa, agisce come se non la volesse". Eh già, millemaschere. L'abbiamo costruita noi questa società, a suon di sorrisi falsi, infamate brutali. L'avidità in tutta la sua naturalezza. Greed, come disse qualcun altro. Abbiamo imparato (e ancora insegniamo) a colpire per primo. L'opportunismo è più che istituzionalizzato: celebrato. Al grido di "senza ambizione, un uomo non è tale", si corre ciecamente al soldo. Che confusione. Lasciamo stare che il diavolo sia sempre donna, potrebbe anche essere un caso.
Questo film di Kurosawa ci ritorna in faccia, sbam, con l'eleganza e l'efficacia di un ninja. Le cavalcate nel bosco sono sinuose quanto concrete, tutte le altre sequenze affascinano e stordiscono, come quella dell'uccisione del soldato che ha fallito: morte atroce; come quella della seconda profezia, così quella del finale, stupendo.
(depa)

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