Concha dice sì, ma è no.

Questa sera, io ed Elena alla corte di Marlene. Sempre lei, ancora più femme fatale; dopo aver ridotto a pezzi il prof. Rath, qualche anno prima, questa volta la regina della tela potrà divertirsi, con "Capriccio spagnolo", a tramortire e poi stendere l'omuncolo di turno, tanto piccolo quanto perso. Ancora diretta da Josef von Sternberg, nel 1935, la Dietrich trovò negli echi dell'espressionismo tedesco la potenza a lei consona.
E' un film sopra le righe, a volte coi bassi a volte con gli alti; la disperazione cresce man mano che s'evidenzia la totale assenza d'umanità della protagonista; ma la chiave di scrittura (e lettura) è più sbarazzina, meno angosciante della precedente, celebre apparizione dell'angelo senz'anima. Nonostante l'impiego massiccio di scenografie e recitazione marcatamente espressionisti (le vele delle imbarcazioni sfumate sullo sfondo; il classico giro di pollici per indicare una finta noncuranza), la pellicola non vuole atterrire, al massimo mettere in guardia...da queste creature pericolose, che han particolar fiuto per gli allocchi, invero. Colombella testarda, gallinella dal collo danzante, Concha è orgogliosa, conscia del proprio potere, morbosamente disubbidiente e falsa (fa per lasciare il povero Pasqualito, ferito, ma non esce, perché? Semplice, perché lei non prenderà mai ordini!), pronta a tutto colle proprie catene invisibili ed insolubili. E, sia chiaro, Concha torna indietro solo perché non è così stupida da allontanarsi dal proprio pollaio, dove poter giocare coi burattini già stregati. Davvero terribile dolce e bastarda Marlene "Conchita", da scoprire.
(depa)

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