Un halcion e al Dorsia

Ieri sera, complici il festeggiamento per il trasferimento del buon Aporty sul divano della sala e il brontosauro al sangue donato dal Dudy e preparato da Elena, è saltata la mia visione in trasferta del lunedì, tramutandosi con piacere in un ritorno della "Uander" sulle pagine del 'Rofum, con piccolo pubblico composto da tre lettori di Bret Eston Ellis. Quale occasione migliore, quindi, per vedere o rivedere la trasposizione del suo romanzo più celebre, "American Psycho", diretto dalla canadese figlia d'arte Mary Harron?
Un collega, altro fan dello spinto autore di Los Angeles, mi fa notare il fatto che il regista sia donna, proprio in una delle pellicole più maschiliste, narrazione di una cultura imperante del possesso e del consumo, della prevaricazione a tutti i costi, pur di arrivare. Coraggiosa la Harron, e pure bravina. La difficile sintesi del denso romanzo psycho thriller pulp è riuscita, al di là delle molteplici possibili varianti. Il crescendo di malattia di Patrick Bateman è ricostruito con buona curva; ovviamente perderemo le paranoie raggrumate sulle pagine del diabolico romanzo ma, anche grazie alla buona prova del gallese Christian Bale, la folle disperazione esplode con drammaticità e sfrontatezza fedeli al soggetto.
Le differenze col romanzo, in molti casi, evidenziano scelte ben congeniate (gli excursus musicali durante gli efferati omicidi), in altri risultano inevitabili per quanto rilevanti (l'ossessione per i vestiti è sfiorata); e non parlo delle scene di ultraviolenza sparse nel racconto cartaceo. In conclusione una violenta piacevole visione, con tanta bella demenza yuppie anni '80, directly from Wall Street.
(depa)

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