Job al massacro

Appena tornato dall'ultimo dei Dardenne: "Due giorni, una notte". Ancora una volta, i fratelli belgi girano un'intensa apnea di emozioni, un'ora e mezza di angoscia e rabbia. La guerra tra poveri sfrutatta dai soliti noti, piccoli e meno. La rat race ha regole ben precise, quelle antiche di una mia vita sulla tua morte. Atroce contrasto tra i colori accesi fuori ed il buio, profondo, dentro.

Nonostante il sapor d'architettazione, più forte che nelle altre loro pellicole, dopo qualche secondo ci si accorge che, in realtà, sullo schermo non sta accadendo niente di diverso dal solito: nota ricetta dardenniana, zero filtro, niente zucchero; quell'antipatico effetto di costruzione ad hoc è lo stesso che si prova nel tornare a casa licenziato perché, sai, la produzione...Perché certamente c'è un disegno, ma lo accettiamo, purché arrivi il bonus. Che sia solo una delle tante armi per continuare a farci girare, dal via, dalla prigione, tra tasse e imprevisti, noi pedine assuefatte, è un problema che non ci poniamo. Quanto costa?
E poi quell'insopportabile domanda "Quanti (o chi) hanno votato...?" come se la differenza stesse nella sua risposta che, semmai, ci ricorda, una volta di più, l'istinto pecorino della nostra presuntuosa specie animale (mi viene in mente, in piccolo, la mia rabbia alle domande degli amici, "chi c'è?"). Solidarietà parola vuota. "Mettiti nei miei panni". Subito: ti aiuterei maledetto schifoso, lotterei per te, mi priverei di 30 euro al giorno per te, capire che domani toccherà a me. E' un sogno; un incubo. Altro tema: tutti contenti di averci ripensato, invece che vergognarsi e buttarsi dal ponte monumentale, complici in coda, ingranaggi di questo stritola esistenze (la moglie rinsavita, su tutte; nemmeno un marito s'è saputa scegliere, schiava anche in casa). Ma i Dardenne, pure nella rabbia più cocente, paiono non voler escludere il beneficio di una parola detta. Sandra sta facendo l'elemosina, non c'è dubbio. Obbligata quanto si vuole, vittima, ma sta mettendo da parte la dignità, che non può essere salvata di fronte a bestie selvatiche come i propri colleghi, per partecipare ad un gioco di cui dovrebbe distruggere foglio delle istruzioni, tabellone e pedine. Ma, grazie al fondamentale sostegno del compagno, decide di tapparsi il naso e...parlare. Qualcuno, non si sa mai, potrebbe rinsavire.
Lo zucchero, a volerlo trovare, perché qualcosa di buono a questo mondo v'è, i Dardenne ce lo somministrano a pizzichi, di una forza straordinaria, i tre, quattro sorrisi che Sandra si lascerà sfuggire (dopo lo scambio l'allenatore e in macchina). La prova che il cinema Dardenne sia qualcosa di più di un piagnisteo (seppur girato da valzer austriaco su orchestra di congas, didjeridu e forchetta su bicchiere), bensì una scossa gridata a chi pensa di non farcela: i suoi sorrisi saranno la reazione che non dimenticherà mai, sconosciuta agli schiavi dei mille euro.
La parigina Marion Cotillard è perfetta, espressioni, gesti, andatura; se, oltre coi suddetti sorrisi, la commozione raggiunge il picco quando le "va la minestra", gran merito, oltre agli autori Dardenne, è anche suo.
Finale che ci consegna l'unica felicità possibile, quella nella lotta. Eccola la dignità, nella testa alta di chi sa che i compagni sono ovunque e che "non camminerai mai solo". Se poi, alla base della materia grigia, hai buchi di meschina idiozia, xenofobia, parola ereditata da talk show o dal bar Gino (colletto in su), beh allora, "cretini di tutto il mondo sparatevi".
In mezz'ora, di botto, le mie impressioni su questo gioiello che suggerisce cose talmente ovvie (sgomento: migliaia di anni senz'alcun progresso), che viene voglia di consigliarlo a tutti, divulgare al vento. Su di un'isola giungerà.
(depa)


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