Poetica burtoniana

Sarà la burrasca che percuote queste serate, ma la Sala Uander sta tornando ai suoi vecchi fasti. Anzi, proprio per rievocare, per poi fuggire, l'atmosfera cupa tra cielo e strade, sul nostro schermo è apparso un Tim Burton: "Edward Mani di forbice", del 1990, è l'ennesima prova, da parte del regista californiano, della sua grande capacità di unire il narrato al visivo, sublimazione cinematografica della sua grande immaginazione.

Gran film senza se e senza. Tim Burton è un autore tutto da scoprire, lasciano sgomento la sua visionarietà e la sua poetica. Con due straordinari complici, che si porterà appresso a lungo, Elfman e Depp, riesce a toccare corde dello spirito senza che arrivino note stonate alla mente. Chiaramente, questo film percorre alcune strade già battute nei canovacci delle favole classiche, tutti i più grandi narratori ebbero uno schema, anzi, da rispettare (i ragazzacci senza cuore). Ma è nella restante dimensione, quella in cui dimostrare di saper finire su lidi lontani, irraggiungibili da altri, quella che permette di vedere cose invisibili ai più, che il grande narratore si innalza sugli altri. Certo, raccolti i frutti, bisogna disporli, ecco il racconto ed ecco, livello successivo, un film. Sono molti i dettagli ricchi di fascino che si potrebbe citare, di questo film. Coinvolgono la scenografia e i costumi curatissimi; come anche lo stile registico e la fotografia. Cito solo la morte del padre, con quelle mani squarciate. Io ed Elena, ci limitiamo a consigliarlo perché non saranno mai abbastanza le volte in cui si è vista, ascoltata, imparata la storia di una diversità e di una comunità ineducata ad apprezzarla. Una favola più che magica in cui persino la polizia non è il membro peggiore della società, tutta barricata nella propria, realissima, ipocrisia. Ma le favole fanno proprio questo, indicano un punto lontanissimo, dove sperare e incazzarsi.
Stupendo.
(depa)



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