Di fronte agli ipocriti non siamo nessuno

Ancora cinema muto, in sala Uander. E ancora un classico di uno dei maggiori autori della storia cinematografica, Friedrich Wilhelm Murnau (1888-1931). "Tartufo", film del 1925, ricorre con rabbia e passione al testo molieriano per colpire duro lo spettatore, perché "Grande è il numero di ipocriti!".
Cinema che va spedito, quando dietro alla cinepresa c'è un attento artista delle luci e delle ombre, un fine conoscitore della forza delle immagini e delle emozioni che da questa possono scaturire. Teorico istintivo, si muoveva con disinvoltura, la m.d.p. con lui. Sin dalle primissime inquadrature (quella sulle scarpe, in primo piano, in corridoio o la successiva, in salotto). L'attacco è forte, anche grazie a volti che hanno grinte, rughe e solchi in grado di tratteggiare quei disvalori che dovrebbero raccapricciare. Quanti falsi sorrisi, quanti gesti interessanti. "Tu sai chi ti siede accanto?", chiede Murnau, fuori dai denti. Sono passati più di 250 anni da quando Molière lo ripete a modo suo. Cambiato nulla. Quindi, il film si accolla pure il peso di un vero e proprio manifesto artistico, oltre quello morale del testo. Il cinema, per alcuni ancora un nonsense per fannulloni, pretende rispetto come arte che, in quanto tale, può indicare la strada corretta. Disinvoltura nell'approntare il discorso, nel rappresentare i lati umani oscuri dell'avidità o quelli fulgidi dell'amore (carne o sentimento; toccante la disperazione di Elmira). Il grande caratterista tedesco, Emil Jannings, è orripilante quanto basta, come scritto; poi è una sfilata di dettagli, scelte che incantano per lo stile avvolgente: quella porta rimasta aperta, in una delle ultime sequenze, introduce a mille spiragli possibili.
(depa)

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