Poco da ridere là dentro

Al "CFUP" di Viale Monza, è stato programmato un ciclo di sei incontri intitolato "Woody il serio". L'intento è chiaro: illuminare quell'anfratto dell'opera del regista newyorkese che, proprio perché più cupa e meno ridanciana, forse racchiude ancor maggior emozioni. Il primo appuntamento, in effetti, "Interiors", del 1978, esprime un Woody Allen davvero doloroso, sulle dinamiche arcigne e grinzose da cui l'uomo non riesce a liberarsi.

I foschi titoli di testa anticipano il racconto di uno dei tanti "palazzi di ghiaccio" in cui un individuo può rinchiudersi: nessuna nota, il silenzio interrotto soltanto dagli "snervanti rumori della strada". Caratteri inquadrati come in gabbia, sul fondo di scale illusorie, ad autocommiserarsi con un bicchiere in mano.
Cinema d'intima apnea, vietato distrarsi, nelle fitte parole sussurrate nel vuoto o masticate nell'amaro, s'annidano dolori reconditi che è bene non lasciarsi sfuggire. Eve, donna disperata, si sente oggetto indesiderato, morto. Attorno a lei, personaggi di questa specie dei nostri tempi. Regna l'eco delle viscere che esalano angosce e dolori senza manifestazioni. Le prime note dopo un'ora, quelle fugaci del matrimonio express, che nulla possono sull'atmosfera già sconfitta. Vite che son piani sequenza tra mare in tumulto e staccionata cadente, sospesi su di una sabbia umidiccia che è fastidio e frustrazione. Un Woody assolutamente diverso, eppure indiscutibilmente in linea. Sempre delicatissimo nel raccontare la fragilità umana, qui declinata soprattutto al rosa, ma non solo.
Titolo perfetto, perché non c'è musica là dentro.

Al "circolino", problemi tecnici comprensibili da chi insegue, cerca, e mangia cinema in tutte le sal(s)e; ma non riassumete mai più un finale a voce (stupido chi lo chiede, ancor più chi lo concede). All'appuntamento successivo, una copia del film, così si fa. Bravi.
(depa)

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