Schiere di rimpianti

Settimana all'insegna di Martin Scorsese. La voglia del regista newyorkese di sondare le origini della propria città, di farlo con larga profusione di dettagli, scenografici e, quindi, storici, lo condusse, nel 1993, a raffigurare grandiosamente la New York di fine XIX° secolo, in particolare quella dei salotti con voce in capitolo, quella delle porcellane e delle ipocrisie, quella dei balli ufficiali e delle passioni represse: "L'età dell'innocenza".
Pellicola viscontiana nella cura del proscenio e nel tratto psicologico dei personaggi, intrattiene senza un nudo (forse solo il quadro mostrato, con spregiudicatezza, a tutti gli invitati del favoloso ballo in casa Beaufort), senza un'arma, una ferita visibile. Uno Scorsese anomalo, dedito a mostrare come esistano infiniti modi "violentandi", che gli errori restano gli stessi nei secoli, passano le mode, le ragnatele sociali dei giochi di potere, del bieco perbenismo e della sterile etichetta s'irradiano con cavi d'acciaio sulle epoche. Verso la fine, un accenno, un fulmineo pensiero di morte
Il tema del rimpianto, dell'attimo lasciato in banchina, viene spremuto in concentrato d'emozione e velluti; pesanti drappi rosso sangue avvolgono e assieme separano i due protagonisti: Sottile e significativo anche lo schizzo della esile May, all'apparenza ingenua, in realtà acuta lettrice tra le righe dei gesti del proprio moroso, prima, quindi diabolica e saggia calcolatrice. E' lei l'unica vincitrice, nel gioco da lei scelto. La contessa Olenska rimarrà per sempre il "più malinconico ed intenso di una schiera di fantasmi".
Uno Scorsese ardente di passione incompiuta, sinuoso e doloroso.
(depa)

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