Shakespeare 4D

In questi giorni c'è Orson alla Cineteca. E quando questi decide di rievocare Shakespeare innalzando, ulteriormente, entrambi, ci si può attendere un cinema grandioso, uno spettacolo di rara intensità: "Otello", del 1952, è il tragico vortice in cui piombò il Moro di Venezia, lui che fu quello che fu, grande di fronte al nemico, piccolo dinnanzi a se stesso. Gigantesco Orson Welles.
Quel bastardo infido di Iago, lui che non è quello che è, capace di doppio, triplo e via così gioco, è addentato dall'invidia; ha Otello nel mirino, impossibile una conclusione senza sangue. L'alcol ne ha scritte di pagine, attraverso i secoli, questa è quella in cui compare il nome di Cassio, luogotenente fedele che cadrà nel suo tranello. Ed ecco William Shakespeare moltiplicarsi in 4D. Solo dar forma a quest'idea mette i brividi, si squadernano gli abissi sui vili sentimenti umani, le paure vi s'affacciano, le ossessioni vi precipitano. Otello ci trascina con sé. Interpretazione solenne e potente di Orson Welles che fa turbinare Otello tra scale e antri di una gelosia, di un'intima labirintica prigione, isola cipriota in cui ognuno può precipitare. Insomma la celebre immensità del grande drammaturgo inglese, la sua universalità, sprigionate da questa nuova straordinaria arte che, tra le mani di Welles, si fa organo le cui canne gridano e urlano tutte all'impazzata.
Scenografia che arresta tempo e luogo, il campo di battaglia è quello dell'umano istinto, chiaroscuri che sfaccettano gli attimi, i giorni di tutte le esistenze; primi piani e volteggi tra i volti di Otello, Iago, Desdemona, salgono i brividi nel vedersi scagliati addosso tutto questa umanità.
Capolavoro.
(depa)

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