"In magica celluloide"

Sono passati 5 anni da quando lo vedemmo, intorno al XXV° appuntamento del Cinerofum. Rimanemmo un po' perplessi, ecco la causa di quella hyper-fava nell'ormai storico storico delle proiezioni. Quindi, andare a ripassare la lezione allo "Spazio Oberdan" è mio dovere; Tuttavia, nonostante il tempo passato e, soprattutto, la pellicola dispiegata, "Lisbon story", diretto da Wim Wenders nel 1994, continua a lasciarmi qualche dubbio, combattuto tra la stimolante sensibilità e la fastidiosa astuzia dell'autore tedesco.
E' un film che parte leggero, con una bella introduzione, fusa nei titoli di testa, dedicata al viaggio, in particolare, "lungo questo continente che porta le tracce delle guerre e delle tregue". Poi prosegue, sempre spensierato, ridendo alle calcagna del maldestro allemao, ma assumendosi qualche responsabilità, se è vero che alle sbarazzine vicissitudini del buffo protagonista, s'alternano ambiziosi momenti di poesia, d'immagini in musica, di fotografia d'autore, infine, di filosofia del cinema. Ma è una poesia che, data la partenza casereccia, pare restare un'idea allettante, ingegnosa ma non pronunciata (nonostante le ripetute incursioni di Pessoa). Tributo appassionato e sorridente, a cent'anni circa dalla sua nascita, alla Settima Arte; riflessione a ritroso, ma partendo proprio da quel sonoro che, agli albori, si propagava soltanto nella fantasia. Potrebbe anche divertire, la dissertazione finale: "un'immagine non vista è pura, vera e meravigliosa", non lo nego, c'è di che perdersi piacevolmente; ma i finti fiori, raccattati qua e là, spot di Lisboa e dei suoi santificati Madredeus (i santi non li sopporto), ricordano proprio il falso che sta dietro alle "le immagini spazzatura" citate da Friedrich, il regista sbandato.
Secondo me, manca di qualcosa, come il momento, goffamente romantico, della dichiarazione d'amore alla Madredeus. Stile "lo faccio così, senza prendermi troppo sul serio; sapete? sono un artista". Sì, sì, ok Wim; intanto la fava rimane lì, come dettò il severo padre fondatore Taigher; quello che possiamo fare noi, del 'Rofum moderno, è continuare a spulciare la tua opera.
(depa)

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