Quella sbagliata

Giovedì scorso, al solito prezioso "Spazio Oberdan" di Porta Venezia, era in programma un appuntamento della rassegna dedicata al cinema della Repubblica di Weimar (1918-33), intitolata "Da Caligari ad Hitler". Periodo cinematografico fruttuoso e scalpitante, cui appartiene anche "Asfalto", intenso dramma urbano diretto dall'austriaco Joe May, nel 1929.
Dal film emerge la volitiva energia del regista, in alcuni casi conducente a più che solidi risultati (l'introduzione, con poche didascalie, ma una grande orchestrazione corale, con scenografia e attori intrecciati con maestria), in altri a esercizi non privi di una certa ingenuità (gli effetti caleidoscopici). L'intreccio è semplice ma messo in atto con ritmo ben calibrato, anche grazie ad attori in grado di catturare, sia colle reazioni più sottili, sia con quelle più caricate (siamo al termine dell'espressionismo tedesco), l'attenzione dello spettatore. Il protagonista, interpretato dal tedesco Gustav Fröhlich (celebre per Metropolis), risulta, a seconda delle situazioni, spensierato, frustrato, innamorato, deluso, smarrito o determinato.Una scena in particolare, quella del corpo a corpo tra i due contendenti, colpisce per dinamicità e metrica audaci, lo scontro è duro e insisito in maniera realistica, anche e soprattutto per una pellicola dell'epoca. Che si ponga il dubbio che una ladra possa onestamente essere spinta dal bisogno, secondo me, è una questione a latere; prova ne sia che la protagonista, di quel bisogno, sia del tutto priva. La città, col suo asfalto metafora dell'annichilazione moderna, offre nuovi perversi sbocchi agli istinti umani, altrimenti imbrigliati da regole ed architetture che sottopongono ad uno choc dinanzi al quale non si conosce ancora la posizione di difesa. In questo senso, anche la protagonista appartiene a quei pericoli, cui l'ingenuo poliziotto non sa far fronte. Ci penserà lei, però, con un ultimo onorevole e liberatorio gesto, a salvarsi. Insomma, una Weimar che si avviava ferocemente verso un indvidualismo cementificato in una moltitudine gridante di "ognun per sé"
(depa)

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