Cari dolci sogni

Ci siamo. Prima recensione dalla Sala Porty Hostel  in 33A East Palm Avenue, Port Antonio, Portland, Jamaica.
L’ostello non è ancora avviato e sto ancora aspettando i vari permessi, quindi, ad oggi, rimane una casa semi vuota, una stanza con materasso per terra e tv sostenuta dalla sua scatola di cartone e un sogno... 
E’ importante saper coltivare “L’arte del sogno” (Michel Gondry, 2006) e non accontentarsi della realtà che ci viene proposta dal caso o dalle convenzioni, una realtà che spesso non ci piace e che vorremmo migliore, più comoda, più a nostra dimensione e a nostro piacimento o semplicemente diversa. Si può provare a realizzare il sogno oppure rifugiarci tra le braccia di morfeo e vivere i nostri sogni come reali, facendoli tali nell’emozione del momento e rendendoli propri nel ricordo. Quest’ultima è la strada percorsa da Stephan, che non sono io anche se qui mi chiamano quasi tutti così, bensì il protagonista di questa originale e accattivante pellicola.

Un’ora e mezza abbondante di cinema psichedelico in compagnia del ragazzo franco- messicano (Gael García Bernal) che fa sempre più fatica a distinguere il sogno dalla realtà e noi con lui. Pupazzi meccanici, macchine del tempo che conducono a un passato lontano soltanto due secondi, trasmettitori del pensiero, sono stupefacenti marchingegni che interagiscono con gli attori creando l'illusione di un sogno di cellophane. Il regista francese è bravo a trascinare dolcemente per mano lo spettatore nella testa del creativo, sensibile e innamorato sognatore.
Un film che convince per intensità e originalità e ha anche qualcosa di poetico in se.
Il personaggio di Stephanie (Charlotte Gainsbourg) è perfetto, semplice, lineare, non sbaglia una battuta e lascia tutta la follia all’omonimo vicino di casa che dapprima la affascina e la attira, poi la allontana e la spaventa. Per lui, lei diventa un’ossessione ed è in quel momento che al giovane innamorato non resta che rifugiarsi totalmente nel sogno, in questa miscela di ricordi del passato e speranze per il futuro mixati a piacimento da Stephan che non smette mai di credere nel lieto fine, come tutti quanti noi.
(Ste Bubu)              

1 commento:

  1. Sogni allo stomaco

    Ieri sera, nella franzosa sala Valéry, ancora Michel Gondry. Il regista nato nel regno di Versailles, nel 1963, ci conduce ancora una volta lungo una sua ipotesi dimensionale personale: il mondo dei sogni, diviso da quello reale dal solo schermo degli occhi, potrebbe sottendere un universo che, qui, incredibilmente, si fa minuscolo e sterile. Buco nero.

    C'è una ragazza in sala con me. Alla fine sarà allibita, nauseata. Non è, quindi, una questione di gender (men che meno di sesso!). Dopo l'inizio della visione, sarà un'attesa lunga 110 minuti, sprecata. Oltre alle frasi inopportune e inspiegabili messe in bocca all'insipido protagonista, eccoli, ancora!, i momenti sbagliati di Gondry (che dimostra la sua scarsa sensibilità cinematografica). Gondry cerca avidamente sugli scaffali miele per i propri fotogrammi, facendo colare tutto, prodotti bio e di marca (i filmati di repertorio col padre, più che abusati, marciti, più che facili, ovvi). Col trascorrere dei minuti, ci rassegnamo all'evidenza: un po' come il protagonista che straparla nel suo delirio battuto a macchina, questa pellicola meno che mediocre sta girando a vuoto. Stéphane perde senz'appello la sfida con Amélie, che quell'universo sotteso aveva reso solidi di colori, suoni, poesia).
    E sarà pure un film dedicato ai ragazzi un po' speciali, creativi e allucinati, ma bastasse: questo è cinema. E deve rimanerlo. Decente, possibilmente. Proprio questa la difficoltà: mica lo possono far tutti. Un percorso che vorrebbe essere profondo e complesso, ma che si mantiene ben sopra la superficie, svolazzando leggero su elucubrazioni fanciullesche, ora, a cavallo di didascalismi d'accatto (la nave completata sul finale del film). Per non parlare delle ultime parole del protagonista, prima stucchevoli e banali, poi volgari e insopportabili. Si può scrivere tutto ciò che si vuole, una parola può ben coprire un vuoto, ma questo filmetto regala attimi di nulla rari. Bellissimo.
    (depa)

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