Provvedere da sé

Al "Circolino", penultimo appuntamento con "Il Dopoguerra nel cinema italiano" ("70 anni di un anniversario da non dimenticare"). Nel 1948, Lugi Comencini girò una pellicola dedicata alla categoria più debole nel momento più tragico. In "Proibito rubare", i protagonisti sono gli scugnizzi di una Napoli in macerie; visi sporchi e ginocchia sbucciate, la vera anima di una complessa ricostruzione.
Giorgio De Giorgio, il curatore della rassegna, si esibisce nel suo solito interessante e scanzonato preambolo, fatto di curiosità per tutti i palati: "Dopo la guerra, tra le tante condizioni che furono poste, quindi anche in ambito culturale, gli Alleati ottennerò che, nelle sale italiane, venissero proiettati i film proibiti dell'ultimo decennio, avversati dal regime. Operazione di recupero che portò molti nostri cineasti ad una vera e propria ubriacatura hollywoodiana. Questa pellicola nasce proprio dall'entusiasmo che Comencini (nato a Salò nel 1916, ma emigrato ben presto a Parigi dove contrasse la malattia cinematografica e non un'altra ben più incurabile) provò per un film d'Oltreoceano, "La città dei ragazzi", dello statunitense Norman Taurog (1938). Proprio come l'allora più scafato De Santis, s'innamorò degli spazi aperti e dei movimenti macchina verticali racchiusi in quella grande scuola del Cinema e, assieme all'amico Alberto Lattuada, decise di rimboccarsi le maniche, gettandosi nella mischia. Con intenti sia documentaristici, sia artistici, il giovane regista partì proprio la pallicola di questa sera.
Veniamo ai protagonisti: il messinese Adolfo Celi (1922-1986), compagno di Gassman all'"Accademia d'Arte Drammatica" di Roma, poco dopo partecipò ad un film, "Emigrantes" (di e con Aldo Fabrizi), che lo portò a scoprire ed amare una terra lontana, il Brasile, dove rimarrà facendosi apprezzare a sua volta, sino a rimanere nella memoria degli appassionati di teatro brasiliani. E la napoletana Tina Pica (1884-1968), incredibilmente accompagnata dalla fama di grande amatrice...Da sottolineare, inoltre, il rapido ma chiaro passaggio sul nodo cattolico del sacramento della confessione, liquidato senza mezzi termini dal Comencini valdese".
Ma i veri, protagonisti, aggiungo io, sono i bambini che imperversano per le strade di ciò che rimase della Napoli vecchia, nonché sulla scena di questo simpatico e drammatico film che, seppur con toni prevalentemente leggeri, apre uno squarcio colorito su di una tragedia altrimenti insopportabile. Sono i loro volti già adulti, ora aspri, ora luminosi, i loro sguardi qui disillusi, là sognanti, ad accaparrarsi l'attenzione del pubblico, lasciando i due attori professionisti in disparte. Sorrisi dai denti contati che la dicono lunga sulle loro condizioni e, sì, anche sulle loro astuzie. Aldo Celi, di fronte a tanta genuinità, in mezzo al loro sincero entusiasmo di chi, forse, per un attimo si sta permettendo il lusso di una fugace ribalta, pare un pesce fuor d'acqua. La parte di Don Pietro, "Zi' Pre'", lo richiede, certo; ma è indubbio che, considerando per esempio l'accorato, retorico e religiosissimo discorso finale (nessuno "provvederà" a quelle anime ferite ma tenaci), la sua interpretazione sia sufficiente per non inserire questa pellicola nel filone neorealista. Gli aspetti smaccatamente caricaturali dei costumi napoletani fanno il resto, anche se, come disse De Filippo, di teatri a cielo aperto come quella città non ce ne sono tanti...
Nonostante l'imbalsamatura del volitivo reverendo protagonista (voluta?), guardare queste orde di monelli partenopei travolgere tutto quello che si parerà loro davananti, è un piacere per occhi e spirito.
(depa)

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