Farewell CFUPola

Più di un mese fa, ormai, il CFUP di Viale Monza (MI) mi...m'ha salutato con l'ultimo appuntamento su "Il Dopoguerra nel cinema italiano". E' il romano Mario Bonnard ad imbastire il dolceamaro farewell: "La città dolente", del 1948, è il racconto di uno dei tanti esodi di carne da macello spostate dalla Kamchatka alla Mongolia, per una sacca vitale e bugiarda, perché il gioco vada avanti.

Cedo la parola al buon Giorgio: "L'unica pellicola, assieme a "La mano dello straniero", del 1954, di Mario Soldati (e con Alida Valli), sulla questione istriana (azioni e reazioni violente) che diede il via all'esodo di Pola, sul tema degli esodati (la parola comunismo era più di un tabù, Tito non poteva essere additato con gesto sincero), ad affrontare questa cupa pagina della nostra storia. Regista quasi sconosciuto, noto più che altro come attore"...poi l'immancabile intermezzo di curiosità che vi lascio scoprire su wikipedia..."Due donne, in questo film: la moglie e l'amante, mamma e guerrigliera. Attrici che erano vere e proprie scommesse per i registi alla ricerca del "13" (anzi, 12, all'epoca) che permettesse di sfondare (come in parte capitò alla Rosina di "Fuga in Francia" di Soldati); in questo caso la prima scomparve come tante, la seconda, Constance Dowling (1920-1969), statunitense che fece perdere la testa a Cesare Pavese" (suoi gli occhi della morte che verrà).
"Alla madre che sempre conosce e accetta lo spirito di sacrificio", recita l'incipit di questo drammatico racconto. Pola è ceduta, l'amarezza è ancora lì, in bocca; pure il regista mastica veleno, "voi giornalisti siete come i medici, cercate il caso grave". Tempi assurdi, in cui "i chiodi valgono più del male" (per le casse con cui affrontare l'esodo "verso la patria e la libertà, si pensava"). Immagini curate e realistiche, con stile giornalistico (come dichiarato apertamente dalla scena introduttiva). Suggestiva la sequenza della festa per il comandante slavo, carica di  tensione emotiva ambigua, latente, di qui la particolare forza (nonostante la conclusione scanzonata). 0-1 per la Samp all'Olimpico giallorosso. Un quadro che alla lunga, però, soffre d'eccessivo schematismo, tra cui finisce, un po' di sorpresa, per emergere la figura di Sergio, il brindisino Gianni Rizzo, e la sua richiesta di parole (più per ciò che rappresenta, che per l'interpretazione, a tratti comica, inspiegabilmente). L'esodo di Pola è dei primi di luglio 1947, un anno dopo Bonnard s'azzardò a premere su quella ferita, con risultati differenti tra loro, sul piano prettamente storico-documentaristico, anche grazie ad immagini di repertorio, aggiunse uno sguardo unico; su quello cinematografico coltivò qualche fiore autentico e inebriante, perdendosi però in qualche manierismo d'aiuola, in didascalie da serra ben allestita. Comunque, bel finale, sempre a caccia, sempre in fuga.
Dice bene, il caro e tenace "circolino", un po' sgangherato, alla faccia di chi ci veniva per sbuffare e accumulare sltro stress, come se ce ne fosse stato bisogno; ma sempre appassionato, isola cinematografica felice, tra un naviglio e qualche rampicante. Dice bene dicevo, "17 anni dalla parte del cinema": a riprova che per essere cosciente non serve la maggior età. Grazie a tutti gli organizzatori, nella canicola, come nel tempaccio padano, agli anziani, spiriti gagliardi e realisti, come ai più giovani, caparbi e sognatori.
Alla prossima, "Circolino", in qualche altra sala.
(depa)

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