Rosso a Greenaway

Fugacemente anticipai il mio giudizio su questo altro film del gallese Peter Greenaway, presentatomi dall'inestimabile "Oberdan". Quindi sono qui ad argomentare, nonostante la disgraziata scomparsa degli appunti del momento, le mie perplessità a proposito de "Il ventre dell'architetto", pellicola del 1987 ambientato tra i monumenti di della Roma e le rovine dello spirito umano.
E' incredibile come questo Greenaway sia diverso dai due precedenti visti. Disposto al dialogo con chi vorrà controbattere, ma alcune sequenze, seppur a distanza di mesi, mi istigano a quello stesso conato. La grazia di un momento è annientata dalla bassezza del successivo. Quasi impossibile rimanere saldo alla dialettica cinematografica, tecnica o estetica che sia, di fronte al protagonista che si prodiga in un disperato voyeurismo; o quando nel più triste e didascalico dramma psichiatrico, il povero protagonista naufraga repentinamente nella più ovvia gelosia generazionale. La storia si avviluppa goffamente su di intreccio di Eros e Thanatos tutti sgualcito. Prole e ventri stucchevoli che braccano affascinanti linee di Étienne-Louis Boullée. Parole che vorrebbero provocare ma lasciano perplesse, immagini che vorrebbero sottintendere ma raccontano già oltre, gravemente. Il ritmo langue, di fronte alla storia più sentita e, qui, peggio rappresentata. Davvero strano, vista la caratura del regista. Avanti, avrò preso un abbaglio, se è potuto capitare al maestro delle immagini.

(depa)

Nessun commento:

Posta un commento