Splendida bruttura

Ieri sera è stata una di quelle che piacciono a me. Intendo la sera. Intendo al cinema. Arruolata la fedele Marigrade che, pure a Genova, è l'unica che mi assiste (e viceversa). Comunque, eccoci al City per vedere un film di cui mi parlò vagamente Mino tra una gastrite ed un piatto del Fabbro. Leggo il regista e non ho più dubbi. Da colui che, a Venezia 2012, presentò quell'intensa e audace pellicola che fu "Low Tide", mi aspetto grandi cose. E "Louisiana - The other side" non ha tradito...
La pellicola inizia e provo curiosità, dopo pochi minuti mi scopro sorpreso, una decina di minuti ancora e sale l'angoscia. Quando, poi, compare la banda dei derelitti (veterani), si rimane folgorati da un affascinante malessere che indica senza fallo la caratura dell'opera. Mica facile maneggiare la celluloide con tale ritmo e consapevolezza. "Film documentario", recitano i titoli di testa, inquadrando correttamente e con un pizzico di astuzia e provocazione (rese dal secondo termine) il taglio che vi troverete davanti guardando quest'opera dura, impietosa, dolce e tenera; senza speranza. Perché, se è vero che il quadro è più realistico che mai (può rientrare, a buon diritto, nel filone "cinema tossico" che inaugurammo al 'Rofum anni fa), lo è anche il fatto che il tutto è incorniciato da una struttura che, per quanto minimale, è quella propria di un film e non di un documentario in senso stretto; alcuni momenti drammatici o certi snodi della trama mostrano la cucitura del racconto classicamente inteso (la rivelazione del proprio piano da parte del fidanzato alla ragazza, legato alle condizioni di salute della madre; come la tipica ring composition). Se lo vedrete, capirete cosa intendo, alleviando questa mia penosa scrittura e questa vostra lettura, ancora peggiore.
Il termine documentario è astuto e provocante poiché, ad esempio, consente parole che sono lattine di birra vuote scagliate sul sorrisone di Obama. Un tossicodipendente, certo, i democratici si sentiranno salvi (i repubblicani ne inventeranno una); il regista, però, non si fa certo remore e chiamerà un angelo biondo, dalle ali imbrattate, a ribadire la posizione...
Minervini orchestra tutto alla perfezione, i silenzi come gli overlapping, sovrapponendo momenti di autentica vita ad altri già in decomposizione. Fermo immagine raccapricciante e meraviglioso, su di un'America catorcio, ormai data alle fiamme, orgogliosamente schiava solo di se stessa. La bruttura umana si fa bellezza cinematografica. Che volete di più?


(depa)

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