Statue grigie su, sogni belli giù

Il terzo film visto all'ultimo Trieste Film Festival (2015) è stato il serbo "Il monumento a Michael Jackson", di Darko Longulov (classe '63), tragicommedia divertente che intrattiene e, proprio sul finale, si toglie la soddisfazione di spingere ad una riflessione tutt'altro che superficiale.
Il regista, un 50enne molto giovanile nato a Belgrado, in passato ottenne buone critiche col precedente film ("Here and there"), presentato al festival ceco di Karlovy Vary. E, zitto zitto, partendo in sordina, come per scherzo, è riuscito a scaldare per bene anche la sala Tripcovich, me compreso. Anzi, deformazione passionale, mi son ritrovato a lanciare l'applauso finale. Filmetto che pare non ambire ad offrire nulla più che un intrattenimento a piccoli bocconi, dall'intreccio classico, con personaggi caricaturali ben assortiti. Nella piccola e sorniona cittadina serba (Lozovik, a 100 Km da Belgrado), dove calura, attesa e routine rischiano di far perdere la brocca ai più deboli, ci sono gli artigiani che osservano alla vetrina i fuorilegge tipici del western, qui declinati in salsa balcanica (come dichiarato dallo stesso regista, presente in sala). Alcune battute immediate, altre più riflessive ("né bianco né nero, né uomo né donna"), assieme a gag trainate dai riusciti personaggi suddetti, accompagnano lo spettatore lungo questo dolceamaro racconto sui sogni che aiutano a tirare innanzi; magari non così encomiabili, non supportati da ideali così solidi (e nemmeno possibili); ma pur sempre in grado di generare quell'unità che le piccole comunità, invano, invocano alle istituzioni (dal viso più ancora truccato e ambiguo di quello del mitico cantante afroamericano). Si sta scherzando eh...O no? Come disse il grande Steinbeck "il fatto che una cosa non sia accaduta non vuol dire che non sia vera".
Quell'applauso finale, io l'ho attribuito al film, ma l'ho "dedicato" a tutti i nazionalismi. La sala mi segue. Succede qualcosa di strano ed emozionante: in sala Tripcovich, al termine di un quello che può essere definito un "filmetto", ci si ricorda di cosa e quanto può e deve il cinema (Viva!). Il finale per intelligenza e determinazione, innalza il resto della pellicola che fin lì ha fatto solo il suo dovere. Che qualcosa di inaspettato sia accaduto, lo dice anche l'espressione sul volto del regista, a fine proiezione. Bravò.
"Perché Michael Jackson?", chiede una ragazza in terza fila; io penso al contrappunto, al contrasto, al paradosso; Danko risponde: "per le controversie dietro a quella figura". Poi giunse la morte della popstar più celebre e dovette cambiare il finale. Bravò due volte.
La situazione, in sala, è ufficialmente degenerata: un altro commosso e più scafato spettatore, cita "Umberto Eco": "ciò che non si può teorizzare, si deve raccontare" ed aggiunge "e questo film descrive bene uno degli aspetti più drammatici della Serbia", auspicando, oltre alla vittoria del concorso (ma non vi partecipa), addirittura la conquista di un Oscar. Iperbole provocatoria, forse, ma mi accodo volentieri alla presa di posizione (il messaggio ideologico è da Nobel). Qualcuno parla della perdita dell'innocenza, da parte di M.J., molti anni prima della sua morte, proprio come la Jugoslavia. Toh, ecco cosa può un buon filmetto disciplinato.
Sorgono monumenti a Bruce Lee, Rocky e altre favole...basta sognare.
Voto: 6 e 1/2 (fuori concorso).
(depa)

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