Dannata reputazione

Sabato mare di Varigotti, colori arsi e acqua invisibile: tenga duro il pescatore tracciato dal vento di mezzo ponente, non ceda a SUV e 5 stelle. Sperremmu ben. Tornato in sala Valéry, un film è tutto quello che serve. In vista dell'ultimo suo, da poco nelle sale, ho reimpugnato "Il cerchio", del regista iraniano Jafar Panahi, con il quale vinse il Leone d'Oro nel 2000.
Facile: non è un paese per donne. E per alcune delle disgraziate protagoniste di questa asciutta, lucida, forte pellicola, men che meno. Fiaccate dalla folle struttura sociale in cui sono ingabbiate, si nascondono, tentennano (sino all'irritazione, la mia), fuggono, tremano di fronte alla guardia di turno. Lo stupido braccio della meschina legge di sacerdoti e potenti non sa far altro, codardamente, naturalmente, che schiacciare quelle farfalle coperte di nero. Impreparate, ingenue, testarde, sono prede già prese. Il quadro è agghiacciante. Panahi con la delicatezza delle immagini ci mostra l'aridità dei rapporti, la follia delle norme, realizzando un atroce contrasto che diviene opera solida. La fugace chiacchierata nella biglietteria, lo sconfortante incontro negli spogliatoi, la corsa isolata del velo nero al terminal bus. Il regista indugia sugli sguardi atterriti delle protagoniste, mostrando tramite i riflessi tracciati sui loro volti l'assurdità che, attorno, le assedia. Fotografia attenta che dispone fiori e demoni in un affresco realistico e, perciò, avvilente. Quindici anni fa poteva destare più scalpore, rimane in ogni caso una pellicola dallo stile e dai contenuti perfetti.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento