Siamo già caduti

La settimana scorsa, in sala Valéry, c'è stata una serata di cinema allucinante, ironicorabbiosa, i nostri giorni bombe a orologeria pronte a deflagrare lungo il percorso  tra il nostro amato ufficio e il nostro merdoso appartamento: "Un giorno di ordinaria follia", diretto da Joel Schumacher, newyorkese classe 1939, è un film del 1993.
L'inizio felliniano (carrellata, passaggi e dettagli: dichiarazione aperta), invece che suggerire un'astuzia evitabile, risulta azzeccato, grazie alla declinazione allucinata, incalzante e obbrobriosa dell'ossessione audiovisiva di uno dei tanti nostri giorni. Chissà in quanti casi manca tanto così. Possono trem are le gambe a pensarci. Buon per il regista che il pensiero sfiori lo spettatore; se così accadrà, il film avrà un tic-tac di fondo che lo renderà temibilappetibile. E, intendiamoci, regista e collaboratori non lesinano certo: il livello del mercurio non sale, è già alle stelle. "Quanto costa una coke oggi?", queste sono domande che è meglio non porsi (soprattutto se si è consumatori della bevanda). Ma anche le parole insopportabili del capo, che oramai con tanta leggerezza buttiamo giù d'un colpo, non aiutano certo a mantenere la calma. Questo è la casa che ci siamo costruiti, serve a poco lamentarsi (con altri) o illudersi (che non sia). La sottile linea tra la ragione e il torto (che spessissimo ha in contorni di un'arma), come quella tra ragione e follia (colla consueta silhouette di un potere economico), nei meandri di una metropoli bloccata dal traffico (dal soldo) si fa groviglio difficile da ricomporre. Ed ecco quindi le immagini di Schumacher, dai contrasti risaltanti, quadri ben incorniciati dalla musica e ammalianti nei movimenti, a buttarci su una giostra e obbligarci a fare alcuni conti, colla nausea. Non solo, l'intreccio regge anche grazie a dettagli e connessioni che, senz'antipatia ricercata, ci piace cogliere e gustare (soggetto e sceneggiatura di Ebbe Roe Smith), come la valigetta vuota che amplifica, d'improvviso, molti attimi precedenti, o come il cartellone pubblicitario, o come il "defense" del coreano. Ci metto anche una piccola provocazione: è un bel film anche perché Michael Douglas recita male (e viene doppiato peggio); ovviamente sbaglio il segno, ma quest'impiegato "D-Fense" è terribilmente credibile.
(depa)

1 commento:

  1. Eh gia'.. Un film inquietante se si pensa che quel sistema e' lo stesso che ci circonda...
    Ma... Aspetta un attimo... Io vivo in Giamaica... Ahhhhhhh.. Rewind..
    Un film inquietante se si pensa che la maggior parte dei paesi e delle societa' viaggia cosi', come quella americana, quella che fa impazzire l'impiegato "Douglas" che alla fine voleva solo la colazione 3 minuti fuori orario... e andare al compleanno di suo figlio...
    Alzi la mano chi non ha provato almeno un filo di compassione per lui!?!
    In generale non un capolavoro, vogio dire che certe scene potevano risultare piu accattivanti, idem il personaggio dello sbirro (alterego del protagonista) e il momento di suspense finale piu da brividi.
    Comunque un film da guardare (gia la prossima volta che lo ripasseranno per la 86esima volta su italia1!?).

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