Cuori e macerie sotto i mortai

Ultimissima Varigotti, pervasa di Hugo caldo mai soffocante, di bimbi euforici piemontesi e di lumbard dal frisbee assassino. In sala Valéry un film è la degna conclusione. Roba leggera, Elena docet. Il DVD è lì da un po'...e allora rivediamolo, "Il nemico alle porte" (2001), film del francese Jean-Jacques Annaud, che narra le eroiche gesta, in una Stalingrado epocale, di un cecchino innamorato.
Questo era il classico film bellico cui riusciva a trascinarmi solo il buon Ueza. E, tutto sommato, il giudizio è rimasto quello di quattordici anni fa: buon soggetto con qualche schematismo usurato, fotografia curata, ritmo mantenuto nonostante la posa sia quella immobile, in attesa paziente, del cecchino (il racconto attacca d'impeto, in medias res). Partendo da una storia vera, tutt'altro che incredibile, il regista innesta pochi frammenti di facile utilizzo: love story di un amore inscritto nel destino, ma avversato dal topico terzo incomodo (topo di biblioteca con gli occhiali, ha le lingue, ma non il fascino). Ma c'è la Storia tutt'intorno, in quel luogo, durante quei 180 giorni del 1942, e il film, con le solite semplificazioni e forzature, riesce comunque a dipingere un affresco credibile, macerie in terra, bombardieri in cielo, al centro griglie grigionere, morte, a coprire il grosso della tela. La storia d'amore è invero il lato più debole della pellicola (fatto che non mi ha minimamente ferito), se confrontato con l'avvincente partita a scacchi tra il "rosso" e il "nero", incontro di boxe a distanza in cui l'occhialuto commissario pare un Mickey del poligono (o un Poley del Volga, se preferite); parentesi rosa che racchiudono un altro lato debole, i dialoghi: scontati e superficiali ("Non avevi il diritto di usare il bambino!"). Bisogna però riconoscere che Annaud di qualcosa s'accorge, se è vero che il finale di convenienza viene girato con un certo pudore (la m.d.p. si ritira di fronte ad un happy ending impossibile da inquadrare).
In definitiva, un buon film d'intrattenimento che, secondo le intenzioni del regista, seppur ambientato in un momento clou, rivolge lo sguardo ai sentimenti più semplici dei quattro, cinque personaggi. Certo, c'è sguardo e sguardo...
(depa)

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