Fermi in profondità

Ultimissimo appuntamento con la rassegna "Intolerance" del Teatro Altrove, 'sta volta dedicato agli "Italianissimi".  A tal proposito, il 1960 fu un'annata doc per il cinema italiano: la giuria di Cannes, ad esempio, dovette premiare "L'avventura" di Michelangelo Antonioni (e lasciare la Palma ad un altro italiano...): uno svolazzo rosa di gran spessore artistico, a tracciare con geometrie e profondità alienanti, su piani incomunicanti, l'impossibilità borghese del fiorir d'alcunché, cara all'intellettuale ferrarese.

Assieme al prof. Sini e al sorprendente Gioggi (che è jolly: c'è non c'è dove sarà?), la pellicola rigorosamente in formato originale si è dipanata, trafiggendo il telo colle capacità del maître (maestro classico e d'avanguardia: me lo vedo mentre dopo un a curva impossibile scavata nella roccia e attraversata da una roccia, decide sfrontatamente: "La risolvo con una dissolvenza, che farò atterrare...ma sì: su quel manufatto di ferro battuto appeso ad un muro"). Pellicola che fa innamorar di sé, pur con tutto il frivolo che i protagonisti ci mettono: i dialoghi sono quelli, d'altronde, nei gratificanti ambienti descritti (intendo borghese: intendo come te). Nel vuoto cosmico cui boccheggiano i due sventurati e i loro amici degli amici dei...ci pensa Antonioni ad alzare le immagini e farci provare un sano senso di vertigine. Con la scenografia suggestiva (natura che niente ha a che fare con noi), con la messa in scena ricercata: i corpi degli attori prolungano le idee del regista (questo sempre, si potrebbe dire; scopro ora di aver avuto a che fare con tantissimi Antonioni...); lui prepara i piani e questi si cercheranno, inseguiranno, parleranno. Invano. Sono mosche nel barattolo e la profondità di campo trovata dal regista non fa che accentuare il senso di impotenza.
Non solo immagine: innata è l'abilità di Antonioni di prolungare il momento. Ad una pausa un poco imbarazzante seguirà un gesto che sarà dinamo per quell'imbarazzo; una frase che scuoterà l'asse. In tal senso Monica Vitti è perfetta per "L'avventura". Se è innegabile uno stridore, un qualcosa fuori posto nello stile dell'attrice romana, è altresì vero che il film narra proprio di questo, uno stridore. Meravigliosa nella sua imperfezione, non stacco lo sguardo da lei e dai suoi modi freschi, sinuosi, spigliati poi ancora cupi, impacciati, disperati.
Può darsi che l'autore favorì, inconsciamente forse, la sua musa privata di allora; rimane il fatto, per me, che con altre attrici non si sarebbe raggiunto un risultato migliore.
Fondamentale in Antognoni, il paesaggio che si ripercuote sulle persone (ora siamo granchi spaventati tra scogli percossi, ora zecche spaesate su erbaccia senza orizzonte). Una Noto spoglia in quattro linee (errare), poi in barocco capitale. L'occhio dei protagonisti è travolto da incursioni impossibili da organizzare. Il nostro se la passa bene, eccome. Invero se mi giro mi pare come se ciò che ho appena visto fosse un meraviglioso, fulgido e melodrammatico colpo di pennello. Sì: Antonioni è polvere negli occhi; però magica.
Obbligatorio.
(depa)

1 commento:

  1. Nella fretta della stesura, ho tralasciato di sottolineare il valore della colonna sonora che, come sottolineato dal Prof. nel dopo visione, risulta fondamentale per la messa in scena dell'oppressiva e irrequieta insoddisfazione.

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