Oscuro senza passato

Buongiorno Cinerofum. Ieri sera, assieme ad Elena, ho rimesso piede all'America di via Colombo dopo anni, con un pensiero ai vecchi mini Le cause dell'emozione, però, sono da dividersi equamente tra i luogo e l'occasione: Orson Welles in programma (centenario vita, trentennale morte), con "Rapporto confidenziale" del 1955.

Come esposto nell'interessante introduzione della curatrice prof.ssa Elvira Ardito, come quasi tutte le altre pellicole del regista, anche questa fu caratterizzata da una gestazione tribolata. Sempre a causa delle ristrettezza economiche che attanagliavano le produzioni delle sue opere. Frequenti le interruzioni per correre a recitare in altri film per racimolare quattrini. Collocatasi tra "Otello" (tra le sue fatiche maggiori) e "L'infernale Quinlan" (tornato al successo hollywoodiano), è una pellicola dal carattere internazionale: sia nelle ambientazioni (tutte autentiche, non riprodotte), sia nel cast (doppiaggi realizzati, per sparagnare, dallo stesso regista tuttofare). Leggende sul soggetto: da un romanzo dello stesso Welles, o di un autore francese (Maurice Bessy)?
Tanti i richiami altre sue opere: tra gli altri, l'amore morboso (che, a differenza che negli "Amberson", è qui tra padre è figlia) e il "castello" come luogo di fuga e isolamento (lo "Xanadu" di "Citizen").
Stilisticamente offre tutto cui il regista ci ha abituato: inquadrature oblique e dal basso, grandangoli (ampiezza di campo), primi piani improvvisi, sguardo in camera, contrappunti musicali, montaggio rapido e, a tratti, sincopato (da rilevare le solite denunce, da parte del regista del Wisconsin, contro presunti stravolgimenti del suo operato).
Durante la visione, oltre a riscontrare le esatte riflessioni della curatrice, mi sono lasciato conquistare dall'intreccio sottile e intricatissimo, sino alla macchinosità, oleato con astuzia da alcune sfumature originali (il rapporto tra il "mentone" Robert "van Stratten" Arden e la sua avida compagna Patricia "Mily" Medina) e da una messa in scena che vuole essere d'effetto in ogni sequenza.
Il pazzo Mr. Arkadin, interpretato con la consueta forza dallo stesso Welles, è ossessionato dal proprio passato, sino a perdere tra le dita il proprio presente. Sguardo severo, ora stralunato, ora diabolico, sarà quasi sempre inquadrato dal basso, per esaltarne i tratti luciferini (è un Mangiafuoco). Personaggio dalla forte caratterizzazione, come i vari minori della pellicola, viene rappresentato con tratto espressionista.
Non è il suo miglior film, appesantito dalla trama cervellotica (non priva di fascino però, sospinta dall'assurda mente paranoica dell'oscuro miliardario e dall'insistito bluff tra questi e lo spregiudicato faccendiere) e dal taglio irrequieto, ma rappresenta una ricca vetrina dei tòpoi e degli istinti artistici dell'autore.
(depa)

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