Cantare la steppa

Ieri sera eravamo soli, io e la sala Valéry, concentrati e rilassati nel vedere una proposta da Sterox. Pellicola kazaka del 2008, "Tulpan" colpisce per poetica e sobrietà. Diretto da Sergey Dvortsevoy (Chimkent, 1962), è un dolce ed irrequieto "amore e odio" per la steppa incontaminata sino all'orizzonte.
Lunghi e suggestivi piani sequenza, ora in una tenda tradizionale di quelle popolazioni nomadi che uniche paiono conservare la saggezza dei larghi spazi e delle grandi solitudini, ora nelle distese di sconfinato deserto della steppa. Canzoni e musiche che, assieme alle immagini e ad una piccola storia, ci raccontano di un luogo distante secoli. Dove è il vento che fa il mare. Scene che scuotono occhi e spirito (dove pecore brancolano in vortici d'aria e sabbia. Colpisce la caratura di questo gioiello grezzo, color polvere di sole, ambra assolata. Sia per l'efficacia e delicatezza delle immagini, sia per quelle della caratterizzazione dei personaggi (su tutti, il  contrasto interiore della sorella).
E' un cinema di cui si può andare ghiotti (secondo me si dovrebbe). Può capitare di osservare con terrore l'accorciarsi del percorso diretto alla conclusione, chiedendo altri momenti in cui un bimbo kazako cavalchi un bastone senza limiti in vista, in cui una cammella ferita sieda su di un o in cui una pecora riesca, finalmente, in un parto che è un'intensa e meravigliosa liberazione per tutti.
E' una stupenda pellicola che dipinge con estrema grazia una terra altrimenti invisibile: consigliatissima (sia dagli amici di Sterox, sia da me).
(depa)

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