Vitas, tigri e demoni

La terza pellicola che Marigrade ed io abbiamo avuto in sorte, all'ultimo Trieste FF, è stato un accorato documentario dedicato ad un fotografo lituano, sconosciuto dalle nostre parti, il quale, come molti altri, fu delizia e croce dello Stato Sovietico: "Il maestro e Tatjana", diretto dalla trentacinquenne Giedrė Žickytė, rievoca l'arte e la vita di Vitas Luckus (Kaunas 1943 - Vilnius 1987), artista della fotografia la cui profondità trapassa le immagini sullo schermo.

Quando un documentario apre le pagine di un libro dimenticato, è sempre bene. Grandioso diventa quando l'episodio o la persona riesumata posseggono luce viva propria. Vitas Luckus era uno di questi. Date un'occhiata alle sue fotografie; sono collezioni, reportage, allestimenti che hanno linfa, energia, una cicatrice, un grido immediato.
La regista ci conduce negli anni in cui, attorno a Luckus, nella sua "soffitta", si riuniva un gruppo di amici, intellettuali, artisti, stravaganti,  belle ragazze e una tigre (!). Fucina d'idee e di gesti liberi, divenne ben presto inviso al regime. La regista, come si prefiggeva il fotografo nel ritrarre volti e corpi dei suoi soggetti (per lo più umani), è riuscita ad "avvicinarsi [a Luckus] senza rovinare l'aura". Non che fosse facile, tanto sembrava irraggiungibile. In tal senso, un altro elemento interessante è il contrasto tra la luminosità emanata dal lituano e avvertita dagli amici e il suo carattere introverso (noto ai più intimi). 
La stessa bellezza che trafiggeva le foto del "maestro", pareva circondare Luckus e Tatjana. La regista, un'imponente bionda del nord, di bellezza non è carente, sarà stato facile per lei "riconoscersi nello specchio" di Tanja. Come dice il collega-amico, "in tempi liberi il lascito di un nuomo libero è destinato a rimanere sotto silenzio", descrivendo la subdola condizione in cui si trovarono alcuni registi sotto il regime. Sta a noi colmare questo silenzio (dopotutto liberi non si è mai).
E' un documentario fatto anche di silenzi significativi. Molti i demoni di Vitas: "l'alcol, il più grande", poi una figlia, Maria, poi un'altra, Lucrezia, chissà, poi un assassinio non chiaro...ha poco senso accanirsi sull'uomo, rimane l'arte.
Infine, il dolore insopportabile di Tanja, quasi 30 anni dopo, è tutto in quella lenta ma inarrestabile fuga, giù per le scale, e in quel gesto delle mani smaniose di ripulirsi dal ricordo meraviglioso. E doloroso.
Voto: 4 su 5 (but...fuori concorso).
(depa)

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