Clero senza cloro

Toh. Curioso come, nello stesso periodo, il cinema vada spesso ad affrontare le stesse tematiche, anche a migliaia di chilometri di distanza. Forse perché certe sono globalmente e orrendamente attuali, chissà. Nel mio piccolo, mi sono limitato a seguire la segnalazione di Marigrade che, in una delle sue rare serate libere, m'accompagna al City: "Il club", film cileno del 2015 diretto da Pablo Larraín, è un altro colpo assestato ai dannati della Chiesa (non dalla); non più boxe anglosassone, bensì arte marziale dal sapore orientale, più spirituale e lontano da tempi e luoghi; non meno devastante.

Taglio completamente diverso dal vincitore dell'ultimo Oscar (miglior film). Questo ha vinto il Gran Premio della giuria a Berlino, sintetizzando. Mi trovo d'accordo con Marigrade quando, a fine visione, parla di impronta bergmaniana che un [film] hollywoodiano non può avere (concordo meno nel fare confronti senza la supervisione di San Tommaso). La Boca, in Cile, è un luogo sospeso tra mare sonnolento e nuvole mai spazzate da un vento che eppure c'è. Rimangono lì, senza sapere perché. Senza riconoscere le proprie colpe. Preti, prelati e cardinali di varia fattura nei secoli dei secoli dei. "Cloro al clero" c'aveva visto lungo.
Le figure sono sfumate non perché angeliche, bensì indecise, oscure, sfuggenti. La luce fioca non annuncia alcuna alba, ma un temporale. Si assiste ad un incubo ingovernabile, sino all'attimo risolutore, fulmineo, agghiacciante. Il finale tenta una disperata penitenza che, con sguardo sardonico (anche diretto in camera), ironizza su un qualsiasi tipo di risarcimento.
Larraín gira bene, rigoroso e disinvolto. Le musiche partecipano perfettamente alla partita. Tutto ben orchestrato, assieme alle convincenti interpretazioni degli interpreti, ad allestire un'opprimente atmosfera, poetica e mefistofelica, nella quale le parole della religione mostrano tutta la loro ipocrisia, vacuità, idiozia.
Dello stesso regista vidi "No" (2012), che non mi entusiasmò, ma che mostrò uno storico abbraccio tra un papa e un dittatore. Abbraccio che pare allargarsi sino a comprendere questo arido racconto di anime perse.
Squadracce sopra carri e tigri son sempre brutte da vedere, ma sempre meglio di un Gesù Cristo ricoperto di fango, sangue e lacrime.
Consigliato.
(depa)

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