Gravità del ricordo

Il cinema è così. Può capitare di sedersi, pronti e convinti della visione, per poi accorgersi che non si tratta di quel film. Prodigi della tecnologia e dell'ignoranza. George Clooney c'è, gravità pochissima, direi. Ma della Bullock, nonostante le mie assicurazioni ad Elena ("Tranquilla, ora arriva"), nemmeno l'ombra. Una rapida indagine ha sentenziato: "Solaris", del 2002, diretto da Steven Soderbergh. Ispirato a quel pianeta vicino al quale tutto può succedere (dall'omonimo romanzo polacco), questa pellicola ben sintetizza alcuni dilemmi fantascientifici e non solo.

Steven Soderbergh è un artigiano astuto come la sua dissolvenza tra il fermo immagine del misterioso appello iniziale e i magici flussi stellari del pianeta dei ricordi. Sa con disinvoltura colpire occhi e mente dello spettatore medio. A vari livelli, ognuno troverà il proprio pane (da inzuppare in Via Lattea). Quella massa iridescente ultravioletta, accompagnata da suoni di hang avvolgenti (in sé, quindi alienanti), obbliga ad uno sguardo su di noi che può far male, anzi non potrebbe essere altrimenti. Se un ricordo è un dolore nascosto, Solaris è il posto giusto dove affrontarlo.
A fine visione, Elena storce il suo piccolo nasìn', denunciando la superficialità della pellicola. Io credo, invece, che nell'ora e mezza di suggestive immagini digitali, musiche dalla galassia e affascinanti quesiti esistenziali (tra cui: è deprecabile rinunciare alla realtà per riparare nei sogni? Ma quanti lo fanno traendone gioia per sé e per il circondario?), non si possa poi rimproverare molto a questa pellicola, che non sarà certo ricordata tra le "spaziali", a causa di qualche tratto sbrigativo (George perde la brocca all'istante), ma che offre spunti e qualche emozione; come il momento dell'impatto, piuttosto inquietante.
Quindi è sempre un'occasione buona per perdersi nel Cinema.
(depa)

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