Noi, "l'orrore"

La sala Valéry ogni tanto rientra nei ranghi e compie il suo dovere: "Apocalypse now", grandioso film sulla guerra, non di guerra, diretto da Francis Ford Coppola nel 1979, deve stare qui tra le pagine del 'Rofum. Esperienza cinematografica completa, allucinante affresco sulla follia umana, di cui la guerra è solo un'escrescenza, seppur la più purulenta.

Splendido inizio, che muove i passi dalla fine, quella targata The Doors, "carissimo amico". Poi, sulle stesse note, l'impressionante sequenza del delirium del protagonista, Martin Sheen, giustamente inespressivo, catatonico uomo trasformato in guerra, parte la discesa agli inferi lungo il fiume Nung. Immagini e suoni che s'amalgamano sino all'opera d'arte. Il rock nella guerra. Oltre ai Doors, Carmine padre del regista. Ma è sul piano visivo che riconosco il grande successo di questa pellicola dalla potenza estatica dirompente. Le sequenze ipnotiche per fascino si susseguono; oltre alle introduttive suddette, il celebre attacco sulle note di Wagner, diabolicamente esaltante, trascinante, come un omicidio (o suicidio, ancora meglio). "Charlie non fa il surf!" urla un militare qualsiasi. La bussola è persa, la guerra la ritrova per poi disintegrarla. "Mi piace l'odore del napalm al mattino!", spiega lo stesso militare qualsiasi. Un'incantevole fotografia, con paesaggi e colori fascinosi e illusori (consolatori?). Fumi multicolori offuscano l'intorno, dove il sangue rappreso è già secco, rosso, come un tramonto che chiude il sipario, giallo, verde e un viola che davvero lascia sgomento. "A chi frega?", "Lei vada avanti e basta". Che Vietnam è?
La sceneggiatura ispirata a Conrad è un lungo e mortale incedere nel torbido umano. Narrazione trascinata da un movente extra-bellico, dopotutto, ma dove il fuoco approda, assieme a erba, acidi e conigliette. E guerra sarà. Storia di pazzi e di (già) morti. In questo senso, sì, trattasi di ciò che chiamiamo guerra. Ma è una pellicola alta, che riesce a parlare di guerra passando per altri aberranti antri umani e a scavare nel profondo per concludere che, la guerra, è solo l'apice terrificante ma non il tutto di un corpo già preda della putrefazione. Dichiaratamente ed intrinsecamente pacifista: la guerra vista di sbieco permette pause riflessive che, pur nella loro dimensione allucinatoria, lasciano ben pochi punti aperti. Opera non convenzionale, che si concentra su luoghi e atmosfere ai margini della linea di fuoco, a rappresentare tutto il far west che circonda e si mescola alla guerra; l'idea di disciplina militare, di per sé già putrida, è ben tenuta alla larga.
Nell'ultima mezz'ora, in una scenografia teatrale sospesa e distrutta, l'ingresso espressionistico del generale Kurtz (Marlon Brando grasso e nascosto, strapagato); col cranio seppia oppresso da oscuri pensieri, consolato da una mano gigantesca (malsana sì: e pensare che, ai miei occhi, il generale Kurtz rappresenta il bene). Quello da lui raggiunto è un doveroso ma tardivo "punto di rottura". Non c'è bisogno di essere una "mente lucida, ma un'anima pazza" per "odiare tutto questo", "l'orrore", cioè noi.
Vedere e rivedere, con agghiacciante piacere.
(depa)

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