SOS per Spike

Lo sapete com'è, il Cinerofum, quando si fissa su un soggetto. Con la complicità di Elena che insiste sui serial killer, non si lascia sfuggire l'opportunità di scoprire un altro pezzo di Spike Lee: "S.O.S. Summer of Sam" (sottotitolo: "Panico a New York"), del 1999, è un thriller sconclusionato di rara inutilità. La bruttezza poi... Scrivete qui sotto un buon motivo per ritenere questa pellicola degna di nota  (in rete trovate suggerimenti vari).

Fiero del proprio picchiar duro, il regista parte con la prima di tante braccia tese verso le vittime, di pistole puntate al finestrino di sfortunate coppiette (invero i momenti migliori della pellicola, dal montaggio pronunciato). Tutta roba di bianchi, comunque, per lo più italoamericani del Bronx. Killer più sfigato di Peter dei Griffin, ragazze more da immolare, tutt'attorno personaggetti (alla De Luca) senza prospettive. Gli street shots sulla combriccola di origine italiane e non, composta di tutte le sfumature che ogni strada può offrire (dementi precoci, fulminati ma con sale, violenti e basta etc...), non hanno certo la forza del film migliore del regista di Atlanta, ma rappresentano i rari momenti in cui la confusione pare diradarsi.
A metà della pellicola, intorno alla sequenza rock prima, punk poi, il marasma che affligge il racconto è evidente. Come in altri suoi film, la carne viene messa al fuoco senza criterio. Tra un pezzo d'amore e un brandello di thriller, trovo un rimasugli di drammaticità e comicità da 30 cents.
Qualche volteggio isolato della m.d.p. e alcuni dettagli ben sottolineati non bastano a dar spessore ad una pellicola sciatta e immatura, nel contenuto e nella forma. Il cinema può e deve raccontare un'ennesima infame caccia alle streghe, ma o lo fa bene, o lo fa nuovo, non così male.
Che sia una storia vera, ho l'alzheimer ma, non mi interessa, nulla aggiunge alla qualità di una pellicola (come potrebbe?). Anzi, la breve sequenza dell'"incubo buio", in cui "è come se fosse natale a luglio", risulta suggestiva proprio grazie ad una certa dose di materia onirica. Poca roba, ad ogni modo. E mal amalgamata. Come l'intimità tra Vincent e la moglie interpretata da Mira Sorvino (momenti di bassa lega, cinematografica intendo); o quella tra la stessa e Jennifer "Ruby" Esposito (tenerezze da ex: "Cosa piace a mio marito?"); tutte parentesi sparse, aperte chiuse spezzate, per nulla appagante sul piano narrativo. Figurarsi che trovata geniale quando il cane sprona Peter Griffin ad uccidere... (ah tutto torna: è Brian!)
Sul finire, la fastidiosa impressione che tutto 'sto ambaradan sia stato allestito per la riflessione "dal punto di vista più nero", cioè l'essere grati che l'assassino fosse bianco (considerazione innegabile). Quindi: un soggetto che avrebbe potuto essere svolto meglio, una sceneggiatura paciugata, un film mal realizzato. Altri autori avrebbero potuto raddrizzare lo storyboard e impugnare più saldamente la camera? Direi proprio di sì, mi vengono in mente diversi nomi.
Con tutto il bene che provo per l'autore di "Fa' la cosa giusta" (qui citato dal protagonista John "Vinny" Leguizamo), faccio fatica a trovar lati positivi in questo film (colonna sonora? l'amicizia tra Vinny e Adrien "Ricthie" Brody?), dove l'atmosfera ricercata, calda e umida, alternativa e italoamericana, vuota e drogata si intravede soltanto.
Facciamo prima: quali devo vedere di Spike Lee?
(depa)

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