Circostanze umane

Finalmente, dopo aver saltato i primi due appuntamenti "di cartello", ieri sera non ho trovato ostacoli sulla strada del Cinema Cappuccini dove, in questo periodo, è in programmazione la rassegna "Mondovisioni - I documentari di Internazionale". In una sala ricolma, "Voyage en barbarie" ha raccontato una storia terribile, l'ennesima, sulla bestialità della nostra razza. Convinta nei secoli di poter giustificare tutto in nome di una fantomatica lotta per la sopravvivenza (si tratta, in realtà, della solita avidità), la razza umana codardamente rapisce e tortura. Documentario diretto, nel 2014, da Cécile Allegra e Delphine Deloget.

A vivere i momenti, i mesi, attraverso i quali sono passati questi sfortunati (...) protagonisti, noi forse non riusciremmo a chiamarli, come il tenace e ferito Robel ("vivo per errore"), "circostanze". Perché nascere qui o là, è vero, è puro caso. Ma trovarsi travolti dalla violenza, sia guerra permanente o fenomeno criminoso più o meno temporaneo, ha forti legami con la perdita di coscienza di una comunità, di uno stato, di una società. Violenze perpetrate da sempre ma che, col passare dei millenni, diventano ancor più inaccettabili, stante una qualche linea immaginaria di progresso (sia chiaro: fatti simili accadono ad ogni latitudine).
Le violenze di uomini su uomini non seguono linee immaginarie tracciate su carte topografiche; ma, se tanto mi da tanto, tra ragazzi seviziati, ammazzati e gettati dalla polizia e ragazzi rapiti e torturati, non mi pare che l'Egitto abbia intrapreso una strada illuminata. Lo stato Eritreo contribuisce colla propria inadeguatezza, col suo assurdo clima militare (v'è anche seme tristemente italiano).
"Circostanze" un corno, quindi. C'è un uomo infame, in carne ed ossa, una faccia di merda che spiega che "così va il mondo, così funziona quando non hai alternative", insomma: il solito ritornello sciocco e infernale. Abbiamo bisogno di queste parole e persone? No. Poi di uomini come lui, attorno a lui, ce ne sono altri, come potrebbe essere altrimenti, ed ecco la connivenza assassina, la responsabilità di ogni stato, quella di tutti noi, a non ignorare ed agire. Tradita, quotidianamente. Ci sono beduini che torturano e beduini che liberano. 
Correttamente, credo, il documentario evita discorsi alti (anche perché ottanta minuti così agghiaccianti chiedono un momento per respirare) concentrandosi sull'atroce crimine, tristemente coperto dal velo di ingiustificabili ignoranza e noncuranza (i fedeli in moschea non sapevano, mi ricordano qualcuno). Nell'Epilogo, rimane insoluta la domanda: e le istituzioni?
Se una storia dev'essere raccontata, 50.000 devono essere gridate. Una delle migliaia di voci, forse, giungerà anche all'orecchio di chi, ancora, vede lo straniero in fuga come un invasore.
(depa)

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