Laos on!

Nel fine settimana appena trascorso il Teatro Altrove ha allestito una breve ma interessante mini rassegna sul cinema asiatico. Si sarebbe potuto definirlo indocinese o del Siam, data la specifica provenienza delle pellicole (file): Malesia e Laos. Ma visto l'esiguo numero di esemplari originari dall'estremo oriente nell'accezione più ampia, possiamo concedere una sineddoche mortale e carpiata all'indietro e fingere che una parte sia il tutto. Per quanto visto, abissale la distanza tra le due scuole, anche perché quella malese esiste, quella laotiana non ancora. Vado anch'io a ritroso per scrivere due righe sull'ultimo visto, sabato sera: "At the horizon", diretto nel 2007 da Anysay Keola.

Come l'altro suo connazionale, visto il giorno precedente alle 18.30, trattasi di un film di genere (thriller), la cui storia può appassionare o no (niente di nuovo), ma con una sua forza e un'insospettabile maturità che gli permette di tenere un buon ritmo e di non scivolare su pericolose bucce d'ingenuità. Perché insospettabile? Ma poiché, come detto dai curatori della "due giorni" e accennato all'inizio di questo post, se la tradizione cinematografica malese risale già agli anni '30 del XX° secolo, quella laotiana è ferma ai nastri di partenza: nei trent'anni successivi alla della guerra civile del 1975 soltanto due film; dal 2006 ad oggi, una dozzina. Motivi? I soliti, un regime che arresta sul nascere ogni idea altra, diversa (censura) e assenza di mezzi (il paese in forte crescita è ancora tra i più poveri). Ciò nonostante, come detto, questo action movie ha una sua personalità, non incespica dietro alle costose produzioni americane e tailandesi. E quando azzarda, lo fa con parsimonia e fierezza: la scena clou del vendicativo colpo di pistola al ragazzotto è efficace e originale (sangue in camera, tutta l'inquadratura è perfetta nei colori). 
Capiamoci, qui si premia la bontà di un vino più che novello. Impossibile non cogliere l'acerbità di alcune scene e interpretazioni (il belloccio protagonista deve ancora studiare, la sequenza in cui tenta di convincere la ex è da sceneggiato bulgaro). Senza urla e senza strepiti il film fa il suo, intrattenendo con una storia che su lungo può acchiappare (sul tema della vendetta gli asiatici martellano molto, "qualcuno" c'ha pure vinto un Leone d'oro...)
Anche il prof. Sini, special guest della mia serata, concorda nell'abilità di regista e collaboratori nel dare al rappresentato quella solidità senza la quale, in un film che per forza di cose deve rifarsi a stereotipi ben precisi (il giovane ragazzo, ricco e bello, che tratta tutti con supeficialità, imparerà sulla pelle il valore della vita), verrebbe da ridere, prima, e scocciarsi, poco dopo.
Se vi capita, sempre una rara esperienza laotiana.
(depa)

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