Ritorno impossibile

Vi ho scritto di un fine settimana cinematografico intensivo, specificando tedesco e Neue. E così è stata una domenica lunga 11 ore e 39 minuti, dedicata alla saga di "Heimat", firmata Edgar Reitz. Nel 2004 usci il terzo capitolo: "Heimat 3 - Cronaca di una svolta epocale" ("Un film in sei episodi"). I tempi stanno cambiando e l'Hunsrück, appollaiato sul Reno, osserva fremendo nel vento.

Eccolo il nostro Hermann (ormai amo Henry Arnold), nel 1989, capelli bianchi ma stesso sguardo sorridente, sfuggente, reso più pacato dal tempo, meno entusiasta. La sua Clarissa ritrovata, proprio davanti alla caduta televisiva del Muro. "Il popolo più felice della terra" (1) si riabbraccia dopo 28 anni. Tornare dove "non devi spiegare chi sei, per le gente si è solo fatto un giro". Lo spirito di un "nuovo inizio". Poi il 1990, "Campioni del mondo" (2) con la maglietta più bella. Gunnar completamente andato, è lui il tribolato;  l'Alex, l'Ansgar, il Reinhard, l'eternamente insoddisfatto di questo capitolo (seppur con tutt'altro spessore e ragioni), sempre sull'orlo dell'abisso. Ma è un popolo avido di risorgere dalle ceneri. 1992, 1993 e "Arrivano i russi" (3) col loro carico di speranza. Il vento dell'est soffia con energia malinconica e un sorriso smorzato. Umanità migratoria che scuote, mescola, sbatte ed arricchisce. La caduta di un ferro di cavallo non è un buon auspicio per una "Tana della volpe" in tono minore, dalle rughe stanche. Dalle macerie tedesche nascono edifici storti, tutti hanno una ferita nascosta. Come Hartmut, altro febbricitante di un'oscura irrequietudine. Nel 1995, "Stanno tutti bene" (4) è una menzogna, i fantasmi, quelli reali, tornano e rimettono ancora una volta in fuga. Il tradimento di Clarissa è una sbandata dell'anima (la dolorosa sequenza dell'inopportuna visita, la "lettura in trappola"). Sullo sfondo e in primo piano, sempre, l'Hunsrück in tutte le stagioni (adesso è autunno). "Anton poveraccio", Hermann traballa sotto colpi disparati. "Gli eredi" (5) di un'epoca si passeranno frammenti di testimone, altri si perderanno, altri si uniranno si daranno battaglia come in ogni buona famiglia. Quattordici garofani nel Reno. Il Dio Denaro ad impestare la terra. Prima del tragico e incantevole suicidio, una suggestiva inquadratura dall'esterno di un abitacolo. Nel 1999, il "Congedo da Schabbach" (6) e dal millennio, con uno sguardo amaro sulla miseria dei Simon, divenuti "i più poveri di tutta Schabbach".
Viaggio ridotto, rispetto ai precedenti, ma non meno coinvolgente. E' vero che parte in sordina, contrariamente e in accordo ai tempi narrati, ma col passare degli attimi, Reitz rapisce ancora, portandoci sospesi a mezz'altezza sulle lucide anse del Reno.
Nell'extra registrato allo Spazio Anteo di Milano nel 2005, Reitz ci ricorda che, dopo i due possibili significati di Heimat, approfonditi nei primi capitoli (nascita e distacco), un terzium non datur. Questo perché il ritorno è impossibile: mutati gli oggetti e i soggetti, gli occhi azzardano scommesse sempre perse. La grande cura nell'allestimento di quest'opera cinematografica racchiusa nei dettagli e nelle scelte (come la scelta di attori veri musicisti). Svela che l'alternanza tra b/n e colori non segue un principio stilistico, ma è legata all'"effetto emotivo della singola sequenza", consigliando: rilassarsi e, al massimo, chiedersi se, sul piano estetico, una sequenza sarebbe risultata migliore, se fosse stata girata nell'altra maniera". Tranquillo Edgar, mi stavo rilassando da un pezzo.
Danke schön herr Reitz.
(depa)

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