Ultimo ritorno

La mia minaccia, rivolta a compagni di sala immaginari, di un fine settimana cinematografico e intensivo non ha dato i suoi frutti. Così mi son ritrovato solo, sabato pomeriggio, ad essere stato travolto dal Nuovo Cinema Tedesco targato Rainer Werner Fassbinder. Prima visione: "Il soldato americano", del 1970, è un noir come si deve, malinconico e sfacciato.

München. Nel cinema di Fassbinder s'avverte più che mai il grido dell'autore, la necessità, quasi fisica, di comunicare il proprio Io (ironico e tribolato). "Puoi sempre rifarti". Speranza che suona condanna. Tratto da una sua pièce teatrale, è un nerobianco dall'atmosfera dolorosa e stanca, posata (musik und Ballantines, whiskey amerikanische!), ma con una sua dinamicità; merito del regista irrequieto. Cerchi di luce per limitare l'orrore, tutt'attorno il marasma (le vite degli altri). Sprazzi di specchi fassbinderiani, col ghigno beffardo o lo sguardo che inchioda. "Con lui", "spogliati"...frasi d'effetto chiamato, previsto. Rainer sulla strada asfaltata (degli stereotipi), con aria di sfida; un attimo dopo si butta nello sterrato (non sarebbe lui); il risultato è l'aggressione di uno spavaldo ferito (emblematica la sequenza del suicidio della cameriera, o il finale). "La felicità non è sempre allegra". Vedere per credere, vivere per non.
Sul finire, una memorabile e autentica "uccisione al bacio": perché sono senz'anima i reduci di una qualunque guerra. "Non puoi capire"; nessuno.
(depa)

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