Angoli felici

Venerdì scorso, presso gli "Amici del Cinema", s'è addirittura sorriso assieme al regista giapponese Yasujiro Ozu. Con "Buon giorno", del 1959, Ozu accarezza affettuosamente la vita, con le sue dinamiche quotidiane, dai primi capricci di bambino, sino a quelli ormai avvizziti, ma non meno buffi, di adulti ed anziani. In ogni angolo del mondo v'è un teatrino in carne ed ossa, che aspetta solo di essere rappresentato.

Una production Shochiku, col disegno del Monte Fuji sospeso sulle nuvole, e mi sento già nelle fresche atmosfere, percorse da docili turbamenti, dei film di Ozu. Eccoli, i suoi terrapieni che spuntano tra i bassi tetti ricchi di piccole storie. Questa volta saranno incroci di bambini in divisa scolastica e con zaino in spalla. Tra gli ingressi ospitali di focolari sorridenti, le futili chiacchiere di sensibili ciattelle di quartiere. Intanto, tra i "corridoi di Ozu", piccoli ma rapidi passi scaturiscono da una dolce favella o un bizzarro complotto.
Una variopinta e brulicante comunità: l'ambulante e il venditore di allarme anti-ambulante; la figura della madre-levatrice che la sa lunga; la vecchia gallina inacidita (dal volto tipico dei personaggi di Ozu); l'ormai non più giovane che si consola con l'alcol. Così come i due buffi fratellini, Isamu e Minoru, personaggi calzanti, tra comici peti a comando e testardi scioperi del silenzio, nel fare da collante delle altre storie a contorno (non diranno "nemmeno buongiorno" e scatterà così il quiproquò nel pollaio del vicinato). Le buone maniere e i convenevoli, veri e propri "lubrificanti sociali", racchiudono uno scambio giusto da cui partire; "buongiorno" e "buonasera": per quanto vuote possano sembrare, "queste parole fanno girare il mondo". Con ancora la guerra negli occhi, la pace viene ricercata nel vivere sociale ben regolato; la rinascita muove il piede da un quotidiano scambio civile, da una gioiosa disciplina ("Sia severo coi miei figli": decisamente altri tempi, basta ascoltare le colleghe in area break...).
Affresco dai toni particolarmente tenui (non che le altre commedie del regista siano cosparse di pathos ad altra gradazione), sostenuto da melodie leggere che, in taluni momenti, paiono davvero emergere da una scanzonata commedia italiana, o francese. Commedia battuta da una brezza leggera e da una luce accesa, dove, tra bassi tetti di case tradizionali, si stagliano cieli azzurri e panni colorati. Ozu più spigliato, quindi, meno posato e accademico: colori e spazi sempre ricercati ma disposti per un effetto più immediato. Chiaramente, solo un'illusione: il celebre numero di prestigio di un mago della Settima.
(depa)

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